Il mare magnum di informazioni e dati personali
che circolano costantemente nel web ha permesso all’identità digitale di essere sempre meno sotto controllo, e, allo stesso tempo, di causare ripercussioni determinanti nella vita reale di tutti i giorni.

Il costante e spasmodico utilizzo di applicazioni ed oggetti connessi ad una rete informatica, sta influenzando irrimediabilmente il modo di comportarsi delle persone, che condividono in un batter d’occhio informazioni personali, senza pensare alle conseguenze e alla loro difficile cancellazione dal mondo virtuale: infatti, una volta caricato un file nel web diventa quasi impossibile rimuoverlo totalmente.

Per difendere i diritti connessi alla diffusione impropria di questi dati nella rete informatica e garantire la privacy di ogni cittadino si è formato il c.d. ”Diritto all’Oblio” ossia il diritto di un individuo di essere dimenticato e non essere più ricordato per fatti che lo riguardano. Nella pratica, questo diritto, viene posto a garanzia di coloro che non vogliono restare esposti a tempo indeterminato alle conseguenze dannose che possano influenzare negativamente la reputazione per fatti accaduti in passato (specialmente in un epoca digitale come la nostra, dove la maggior parte delle notizie circola online). Come affermava il filosofo Friedrich Nietzsche ”l’oblio è una facoltà attiva” che nel mondo moderno va esercitata con delle procedure ben precise.

Ad esempio, vediamo com’è possibile richiedere la deindicizzazione web per un motore di ricerca importante come Google1 : si compila l’apposito modulo messo a disposizione online, si forniscono le specificazioni dei motivi, e si esibisce copia obbligatoria di un documento d’identità del richiedente. L’effettiva rimozione non è né immediata né tantomeno automatica, e, ovviamente, non comporta la cancellazione anche da altri motori di ricerca diversi da Google.

Nella valutazione delle ragioni portate dal richiedente, il motore di ricerca, può anche decidere di considerare la richiesta illegittima e negare la cancellazione del contenuto. A quel punto l’utente può fare ricorso al Garante per la Privacy con una spesa di 150 euro e un’attesa massima di sessanta giorni. Infine, se neanche in questo caso il soggetto ritiene di essere soddisfatto, può rivolgersi a un giudice civile per ricorrere contro il Garante, ma ciò, ovviamente, richiede tempo e somme di denaro più elevate.

L’iter procedurale sembra facile ma Google dal 2014 ha accolto poco più del 30% di 36.000 richieste, perché non adeguatamente compilate o per mancanza di motivazioni sufficienti. Il consiglio delle Autorità è di farsi affiancare da consulenti esperti del settore per non incappare in cavilli burocratici e non veder riconosciuto un proprio diritto. Tuttavia, anche in questi casi, spesso, un’informazione pubblica è difficile da eliminare: infatti, nel caso di una notizia divenuta virale, la procedura descritta non sarebbe sufficiente per una completa cancellazione.

Il diritto alla riservatezza e la reputazione dei soggetti coinvolti che si vuole garantire, si contrappone però con il diritto di cronaca, e solo un perfetto bilanciamento degli interessi in gioco permetterà una decisione appropriata. Come detto da Rodotà ”Il diritto all’oblio può pericolosamente inclinare verso la falsificazione della realtà e divenire strumento per limitare il diritto all’informazione” e per queste ragioni serve una disciplina chiara e trasparente.

Recentemente il Regolamento Europeo 679/2016 ha creato una prima forma di disciplina. Infatti, l’articolo 17 del testo sancisce che ogni interessato ha diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Tale diritto, tuttavia, viene meno quando la diffusione di determinate informazioni sia necessaria per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione, per l’adempimento di un obbligo legale o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o nell’esercizio di pubblici poteri, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici o per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.

Nel nostro ordinamento non esiste un’espressa regolamentazione, ma resta esclusivamente di matrice giurisprudenziale. Il 3 Dicembre 2015 il Tribunale di Roma con Sent. N. 23771 ha ribadito che il diritto all’oblio non è altro che una peculiare espressione del diritto alla riservatezza (espresso anche a livello europeo negli articoli 7 e 8 della Carta dei Diritti Fondamentali). Le conclusioni derivanti da questa sentenza chiariscono che il fatto che si intende dimenticare non debba essere recente, e che lo stesso abbia uno scarso interesse pubblico.

Nel bilanciamento degli interessi sottesi al diritto in esame, in assenza di una peculiare normativa italiana, va rilevato come l’interesse pubblico giochi un ruolo fondamentale nella decisione. Infatti, anche nel Testo unico dei doveri del giornalista (3 febbraio 2016), è raccomandato agli scrittori il dovere di evitare di far riferimento a particolari del passato, a meno che essi non risultino essenziali per la completezza dell’informazione.

”L’oblio è una forma di libertà” (Khalil Gibran) e per questo in una società evoluta come la nostra deve essere disciplinato in modo chiaro e trasparente, garantendo una protezione adeguata della nostra identità con particolare attenzione alla nuova realtà digitale. L’armonizzazione europea resa dal nuovo regolamento in materia di trattamento dei dati personali, definitivamente vincolante a partire dal 25 Maggio 2018, è solo l’inizio di una condivisione di intenti volti al rispetto di un diritto riconosciuto come fondamentale.

Nota:

1 Link: https://support.google.com/legal/contact/lr_eudpa?product=websearch.

Michele Gallante

Michele Gallante

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