Un problema identitario

Con la nascita delle reti sociali, abbiamo osservato un cambiamento tanto grande quanto incontestabile sia riguardo la governance degli Stati (democratica o meno), sia sullo stesso concetto dello spazio pubblico. Ciò nonostante, da ben trenta anni assistiamo alla nascita di nuovi spazi pubblici, come conseguenza della mutazione funzionale delle città e del passaggio a una “società di massa” sempre più importante.

Questi nuovi spazi pubblici, però, sono sempre stati di ordine infrastrutturale: centri commerciali, stazioni ferroviarie, aeroporti, piattaforme multimodali, zone turistiche accoglienti, nuove zone urbane, grandi stadi e strutture sportive, grandi musei, complessi di divertimento e di cinema. Tutti questi spazi pubblici possiedono le stesse caratteristiche: gigantismo, mescolanza delle funzioni e degli usi (le stazioni vengono ad accogliere eventi culturali, ad esempio), modalità di accesso differenziate, flussi complessi di persone, concentrazione della ricchezza e dell’informazione, mobilità sempre maggiore delle persone e dei beni, afflusso e concentrazione di gruppi a rischio. Con lo sviluppo delle reti sociali, viene ad aggiungersi un nuovo livello di complessità, che esacerba ancora di più le caratteristiche dello spazio pubblico, specialmente:

  1. L’incontro fortuito

Lo spazio pubblico diviene uno spazio per la rappresentazione di se stesso, di messa in scena di se stesso nello spazio. A questo titolo, vi sollecita lo sguardo dell’altro e permette l’avvicinamento o il dialogo.

  1. Un luogo di confronto

L’aspetto dell’altro può certo sedurre ma altrettanto provocare. La differenza dell’essere, si suscita uno sguardo curioso e anche la propria accettazione in nome della propria differenza.

  1. Un luogo produttore di interazioni

La natura di queste interazioni è molto eterogenea. Mi riconosco nell’altro, non mi riconosco nell’altro e quindi continuo il mio cammino… sono incoraggiato al dialogo… Lo spazio d’interazione è quindi uno spazio di movimenti che si oppone ai concetti di indifferenza, di ripiego su sé stesso e di rifiuto dell’altro.

Lo sviluppo di una dimensione cyber ha ridefinito il quadro delle pratiche individuali e collettive ponendo nuovi riferimenti, soprattutto in termini di governance elettronica, e questo sin dalla fine della

L’ identità è volontariamente plurale, perché deve portare tanti messaggi quanti sono gli strati che la compongono.

seconda guerra mondiale1. Infatti, l’idea di democrazia elettronica è ben anteriore alla nascita di Internet ed ha conosciuto tre principali tappe di evoluzione. La prima nacque con la fine della seconda guerra mondiale, sotto forma di un modello cibernetico capace di proporre una gestione razionale delle società. Questa “macchina di governo” era basata su di un’utopia, e cioè che i computer potessero gestire migliaia di dati per una miglior governance in termini di razionalità e di efficacia. La seconda evoluzione si è prodotta negli anni settanta con l’emergenza della televisione e del video. A tale stadio, ci si immagina lo sviluppo di questi nuovi strumenti tecnici per favorire uno spostamento dei centri di dibattito verso la periferia, migliorando il legame tra eletti e cittadini. Questa teledemocrazia è percepita come uno strumento al servizio delle comunità locali ma anche come un laboratorio di democrazia forte. Bisognerà però aspettare l’inizio degli anni 2000 e l’emergenza delle reti sociali combinate alla globalizzazione per assistere all’avvenimento del livello locale come promotore della democrazia bottom-up. Infine, la terza tappa apparve con l’emergenza della democrazia elettronica e lo sviluppo della cyber- democrazia, durante gli anni novanta, con l’idea che il cyber spazio simbolizza l’ultimo stadio dell’auto- organizzazione politica, consacrando il “villaggio globale”. Questo villaggio globale crea un nuovo spazio aperto, de-territorializzato e non gerarchizzato. In altre parole, il cyber-spazio vuole essere un catalizzatore che permetta di sorpassare i sistemi politici e di favorire l’emergenza di un contropotere, o persino di una contro-società. Nel campo politico, l’avvenimento di una rete globale di protesta illustra questa evoluzione connettendo tra di loro attori e rivendicazioni, come avvenuto nella primavera araba (rivoluzione tunisina, rivolte in Egitto, in Libia, nel Bahrein, in Yemen), ma anche in Europa (Spagna e Grecia). Questi eventi confermano il ruolo cruciale delle reti sociali e, più globalmente, quello della democrazia elettronica in quanto strumento per captare e diffondere le rivendicazioni dei popoli. La e-democracy è diventata un elemento inaggirabile per favorire il dibattito democratico ma non ne è un sostituto, come lo ricordò Hillary Clinton in un suo discorso del 20112: “The internet has become the public space of the 21st century.What happened in Egypt and what happened in Iran, which this week is once again using violence against protestors seeking basic freedoms, was about a great deal more than the internet. In each case, people protested because of deep frustrations with the political and economic conditions of their lives. They stood and marched and chanted and the authorities tracked and blocked and arrested them. The internet did not do any of those things; people did. In both of these countries, the ways that citizens and the authorities used the internet reflected the power of connection technologies on the one hand as an accelerant of political, social, and economic change, and on the other hand as a means to stifle or extinguish that change”. Questo potere delle reti può essere illustrato, come ad esempio ha fatto Wael Ghonim, blogger egiziano, all’origine della creazione, su Facebook, del gruppo “We are all Khaled Said” in omaggio al giovane connazionale torturato e picchiato a morte da poliziotti ad Alessandria, il 6 giugno 2010. Questo gruppo ha favorito una presa di coscienza della gioventù egiziana per sfidare l’autoritarismo del regime.

In un altro contesto, l’esempio del Presidente filippino Joseph Estrada è anch’esso rivelatore del potere delle reti sociali. Il 17 gennaio 2001, Estrada è oggetto di una procedura di destituzione per corruzione. Ciò nonostante, ottiene l’appoggio del Congresso, che rifiuta di rendere pubbliche prove considerate pesantissime. In meno di due ore, migliaia di Filippini convergono verso Manila all’appello di “whistleblowers” che stava denunciando la situazione via SMS, diventando milioni a manifestare nei giorni successivi. La capacità del pubblico di coordinarsi in massa e così rapidamente – si parla di 7 milioni di SMS scambiati in quei pochi giorni – ha fatto piegare la volontà del Congresso, che ha votato di nuovo, questa volta a favore della messa a disposizione delle prove tangibili per i fatti di corruzione. Il 20 gennaio 2001, il Presidente si dimette, considerandosi vittima della “generazione sms”.

Questo contropotere conta certo su alcune personalità di spicco, ma viene definitivamente a cancellare ogni pista utilizzando l’anonimato come cavallo di Troia per imporre nuovi comportamenti e nuove regole. Ad esempio, dopo gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi, il gruppo Anonymous ha minacciato lo Stato Islamico con questi termini: “Sappiate che vi troveremo, e che non molleremo nulla. Stiamo per lanciare la più importante operazione mai condotta contro di voi; aspettatevi numerosissimi cyber-attacchi. La guerra è iniziata, preparatevi”.

Anonymous aveva già “dichiarato la guerra” allo Stato Islamico in seguito agli attentati contro Charlie-Hebdo e l’hyper-casher (7-9 gennaio 2015). Da allora, il gruppo di hackers ha pubblicato nel marzo del 2016 una lista di 9200 account Twitter associati, secondo loro, allo Stato Islamico, con lo scopo di spingere la rete sociale a eliminarli per avere, come solo obiettivo “un serio impatto sulla capacità dello Stato Islamico di diffondere la sua propaganda e reclutare nuovi membri”.

L’attività degli Anonymous pone interrogativi, perché agendo in nome dell’interesse generale, diventano una sorta di “sceriffi del web”. Possiedono il proprio sistema di valutazione e di valori, che non risulta

chiaro se disturba oppure aiuta il contro-terrorismo. L’immagine del gruppo, quella della maschera ispirata sia dal rivoluzionario inglese Guy Fawkes, che progettò un attentato contro il parlamento di Londra 407 anni or sono, sia da un comic (“V come Vendetta”), è ormai diventata un simbolo della contestazione e dell’anti-sistema.

Il cyber-spazio può quindi comporre un’immagine senza definirla. Il gruppo terrorista Daesh si è dotato di un’identità visuale basata su una serie di video testimonianze della sua capacità militare (immagine 1), della sua capacità d’infiltrazione (immagine 2), della distruzione di beni culturali e della barbarie.

Immagine 2: foto che illustra la creazione di una cellula dormiente in Marocco, destinata a preparare attentati
Immagine 1: convoglio di combattenti di Daesh

L’identità è volontariamente plurale, perché deve portare tanti messaggi quanti sono gli strati che la compongono. Infatti, il messaggio va adattato in funzione del pubblico mirato per diventare a sua volta religioso, politico, sociale o culturale. Nel primo caso (Anonymous) come nel secondo (Daesh), l’immagine che viene cosi creata è difficile da inquadrare perché diventa uno stendardo per cause e progetti portati da individui dalle motivazioni molto diverse. Si costruisce e si decostruisce nello stesso tempo.

Le imprudenze della nostra vita digitale, nel contesto della società globalizzata e dei suoi soprassalti, ridefiniscono senza il minimo dubbio la nostra identità. Infatti, le reti di contestazione sono globalizzate e diviene difficile conoscerne tutti gli attori. Da Anonymous a Daesh, attraversando tutti i gruppi più ‘tradizionali’ della società civile, l’identità numerica sconvolge le regole del gioco democratico e modifica il concetto stesso di sicurezza.

Con lo sviluppo dell’IoT che non pochi qualificano come 4a rivoluzione industriale, col formidabile potenziale di interconnessione tra individui, oggetti, infrastrutture (trasporti, energia…) si sta disegnando di fatto uno “spazio identitario” incontrollato. Appare quindi fondamentale fissarne le regole in modo di non farci imporre le componenti della nostra propria identità.

1 Thierry Vedel, « L’idée de démocratie électronique: origines, visions, questions », in Pascal Perrineau, Le désenchantement démocratique, La Tour d’Aigues, L’Aube, 2003, pp. 243-266.

2 Hillary Clinton, « Internet Rights And Wrongs: Choices & Challenges In A Networked World”, conferenza tenuta alla George Washington University, li 15 Febbraio 2011 (http://www.state.gov/video).

Frédéric Esposito

Frédéric Esposito

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