Autore: Arnaldo Benini*

Il libero arbitrio esiste realmente?

Il libero arbitrio è il problema centrale dell’etica, dei rapporti sociali e della responsabilità. Siamo liberi di scegliere idee e comportamenti e ne siamo responsabili? Per il filosofo materialista Paul Henri Thiry d’Holbach (1723-1789) l’illusione dell’uomo d’essere libero di decidere è pari a quella di una mosca, che, posatasi sul timone di un carro, è fiera di determinarne la direzione. L’uomo e la mosca immaginano di poter muovere l’universo. In realtà essi sono determinati. Da che cosa e come? Per riflettere sulla volontà, senza finire nelle tautologie e nelle astrattezze della letteratura filosofica e moraleggiante “sconvolgente nella sua inconcludenza” e per evitare il “polveroso nuvolone” del suo “filosofese”, come lo chiamò Massimo Baldini trent’anni orsono, è necessaria la chiarezza concettuale che consenta analisi scientifiche e riflessioni concrete su uno dei problemi centrali dell’esistenza. Il dilemma dell’arbitrio, per sua natura, non è né filosofico né religioso. È scientifico.

Circa volontà e libero arbitrio, ci sono due possibilità, senza vie di mezzo: o si è, per scelta o spontaneamente, dualisti, come la stragrande maggioranza dell’umanità, che crede alla volontà libera e altro non può immaginarsi. Per i dualisti, la volontà è libera dai meccanismi cerebrali perché dipende da un ente immateriale individuale (anima o spirito, la res cogitans di Cartesio) che agisce senza condizionamenti fisici. Solo quando agiamo perché obbligati, avvertiamo che la volontà non è libera. Per il senso comune, facciamo quel che vogliamo, e pertanto ne siamo responsabili. Che il dualismo sia la spontanea convinzione di gran lunga più diffusa è la conferma di quanto poco il pensiero scientifico influenzi il senso comune. C’è chi ritiene che i dualisti attribuiscano le buone scelte all’anima e quelle infelici al corpo.

Oppure si ripone fiducia nella razionalità della scienza, per la quale la volontà, come tutti gli eventi della coscienza, è il prodotto di meccanismi nervosi. Essi non sono solo umani, perché di loro si rintraccia la storia evolutiva a partire da esseri remoti, anche se le loro scelte erano e sono più elementari di quelle dell’umanità e non sono condizionate dal senso morale. Che cosa deve essere “libero” e da quali vincoli ci si deve (o ci si può) liberare per agire in autonomia (in autonomia da che cosa?), e quindi con responsabilità? Se essere liberi significa volere e agire senza meccanismi cerebrali, che cosa è allora “libero” e dove si trova ciò che vuole e decide? È il problema che le neuroscienze cognitive, con dati raccolti da oltre un secolo, pongono alla ricerca e alla riflessione normativa, che di quei dati, fino a ora, con poche eccezioni, non ha saputo che farsene. Per la neuroscienza cognitiva la libera volontà nel senso dualista è un mito, tenace solo perché concorda col sentire comune.

Le neuroscienze propongono, con dati corroborati, anche se non definitivi (nella scienza, come nella vita, non ne esistono), che decisioni e azioni siano prodotti della macchina elettrochimica del cervello, il cui funzionamento potrebbe essere (almeno in parte, lo vedremo) casuale. La volontà, e quindi il comportamento, dipendono dai geni, dalla fisica e chimica del cervello, dagli ormoni, dagli organi di senso, dallo sviluppo prenatale, dall’esperienza, dallo sviluppo fisico e culturale, dall’ambiente. La visualizzazione del cervello con le tecniche della brain imaging mostra che i meccanismi nervosi della coscienza vengono attivati quando i centri della decisione sono già attivi da tempo.

L’uomo s’illude di decidere, mentre in realtà non fa ciò che vuole, ma vuole ciò che fa. La convinzione dualista della volontà indipendente dal cervello è talmente e tenacemente diffusa, anche fra gli atei, da porre il problema della sua origine evolutiva, che potrebbe essere analoga a quella delle religioni, cioè della credenza nell’aldilà e della sopravvivenza dopo la morte. Opinione diffusa fra i neuroscienziati, anche se non può essere corroborata sperimentalmente, è che l’illusoria libertà dell’arbitrio sia un espediente evolutivo della mente emerso e selezionato per conciliare l’uomo con la propria interiorità, alla quale attribuisce e riconosce la capacità di decidere. Il senso, anche se illusorio, d’esser liberi di decidere è sentito come valore essenziale, che rafforza la vita, e quindi la specie (…)

La biologia evolutiva spiega, meglio che qualsiasi altra concezione, non solo la duplicità della mente fra il bene e il male, ma anche la necessità materiale e psicologica che indusse l’uomo alla religione, alla convinzione della propria immortalità e al culto dei defunti.

Questi comportamenti hanno un’origine comune: le condizioni della vita delle quali l’uomo si rese conto quando i centri cognitivi dei lobi prefrontali l’arricchirono dei meccanismi nervosi dell’autocoscienza, cioè della capacità, solamente umana, di porre se stesso a oggetto della propria riflessione. Ciò avvenne a partire da circa un milione e trecentomila anni orsono (…)

Telmo Pievani riassume sostenendo che “il primo motore dell’evoluzione è la variazione prodotta da mutazione e ricombinazione genetiche. Le mutazioni sono errori di duplicazione che alterano le sequenze di DNA… Le variazioni sono ereditabili e possono generare differenze nel fenotipo degli organismi. Mutazione e ricombinazione sono processi casuali nel senso che non hanno direzione…” È proprio su questi effetti – positivi, negativi o neutri – che agisce la selezione naturale.

Nel libro si cerca di ordinare i dati delle neuroscienze circa la moralità e il male della natura umana nel contesto biologico dell’evoluzione. È uno dei più intricati meandri neurobiologici, psicologici e storici dell’autocoscienza.

 

Neurobiologia della volontà

Ed. Raffaello Cortina

*Il testo pubblicato è un estratto dell’introduzione del volume che pubblichiamo per gentile concessione dell’editore. 

 

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