Benvenuti robot! Però nessuna paura: l’uomo è un’altra cosa

Viviamo la dimensione dell’infosfera, in cui reale e virtuale sono categorie che si mescolano in maniera inscindibile. Per questa ragione nessuna riflessione sull’etica applicata allo sviluppo delle tecnologie può essere adeguata se non ci si sforza di recuperare uno sguardo di sistema, che deve abbracciare tutto l’esistente, l’ambiente naturale, come l’universo digitale. “Non ci sono – spiega Luciano Floridi direttore di ricerca e docente di filosofia ed etica dell’informazione presso l’Università di Oxford – tante etiche parallele a secondo della convenienza piuttosto, ce lo hanno insegnato i grandi pensatori dell’antichità da Platone ad Aristotele a San Tommaso, esiste l’etica, disciplina cui spetta di enucleare principi e valori universali. In relazione alle paure e false convinzioni che accompagnano da sempre l’innovazione precisa lo studioso: “Non dobbiamo temere il diffondersi dell’IA e di strumenti sofisticati come i robot, che rimangono al servizio dell’uomo e non viceversa. Il mondo della significazione, del linguaggio articolato, come la capacità di risolvere i problemi in modo creativo, sono prerogative dell’intelligenza umana, che a differenza di quanto avviene alle macchine, non crolla verticalmente quando si trova di fronte a una situazione mai sperimentata prima. Gli individui sono, infatti, in grado di fare il “passo di lato”, quella mossa del cavallo resa possibile dalla plasticità del nostro cervello, non replicabile in nessun laboratorio”. A dimostrazione dell’urgenza del tema una Commissione interdisciplinare a livello europeo è impegnata a fornire un quadro etico su disegno, sviluppo, utilizzo dell’IA e a definire le linee guida che possono servire al mondo industriale per indirizzare lo sviluppo del business digitale.

L’intervista

Professore il messaggio che viene da molti suoi scritti è improntato un ottimismo razionale che fa ben sperare: l’uomo deve rapportarsi con equilibrio e misura agli apparati tecnologici, la sua sovranità moralità e intellettuale non è in discussione. Partendo da questo assunto per comprenderlo meglio il rapporto tra etica e digital society vorrei che si soffermasse preliminarmente sulla definizione di infosfera, termine da lei introdotto negli anni novanta e ampiamente discusso nel Suo saggio La Quarta rivoluzione, (ed. Raffaello Cortina). Possiamo spiegare di che cosa si tratta?

Mi pare un giusto punto di partenza. Il concetto di infosfera implica, infatti, considerazioni di carattere ambientale, imprescindibili se vogliamo parlare di etica nella contemporaneità. Le nuove generazioni passano sempre più tempo collegate in uno spazio ibrido tra on line e off line, tra analogico e digitale. Si è scritto molto su questo, ma la definizione “infosfera” ha suscitato interesse perché coglie un “salto” in avanti. Faccio un esempio concreto. Le nostre cucine moderne non sono più come quella della nonna, sono infatti popolate di oggetti tradizionali dal forno elettrico alle pentole, ma anche da oggetti elettronici e digitali. Noi abitiamo un “ibrido”, abbiamo le pentole, ma anche l’orologio elettronico, il micro onde insieme alla griglia per fare gli arrosti, il forno elettrico e la spugnetta per lavare i piatti insieme a Alexa. Il mondo è fatto da questo mix, fondato sull’interazione di oggetti diversi. La vecchia idea per cui si andava nel cyber spazio per collegarsi e poi ci si disconnetteva per tornare “sulla terra” è ormai superata, questa è appunto l’infosfera.

L’ambiente digitale sta generando possibilità di relazione nel passato impensabili, aprendo un nuovo capitolo nel rapporto uomo macchina. Cosa dobbiamo aspettarci per l’immediato futuro?

In passato non esistevano processi di interazione e di simbiosi con gli oggetti, come quelli che stiamo sperimentando. Il disorientamento da parte di molti è dunque molto comprensibile. Bisogna però ricordarsi che gli strumenti tecnologici di cui disponiamo sono programmati per risolvere problemi specifici, non sono particolarmente intelligenti come si crede. Disponiamo di oggetti che sono in grado di apprendere, elaborare dati, migliorare la loro performance e, novità importante, sono parzialmente autonomi. Ricorro sempre a un esempio per farmi capire: il termostato di casa è un po’ “smart”, cioè intelligente nel senso che una volta impostato mi fa trovare gli ambienti che abito alla temperatura che preferisco e al momento giusto, ed è anche uno strumento “autonomo” nel senso che sa ottimizzare i consumi, regolando l’alternanza accensione – spegnimento. L’uomo aveva nel passato avuto esperienza di interazioni con artefatti che non erano per nulla autonomi, né tanto meno interattivi. Questo può aiutare a far capire molto bene la natura del cambiamento epocale che stiamo vivendo.

Questi ecosistemi “ibridati”, che Lei ha descritto molto bene, comportano dei rischi?

Porrei l’accento su poche famiglie di problemi, che racchiudono una molteplicità di questioni. Il primo versante di analisi riguarda l’enorme produzione di dati legati al funzionamento di questi sofisticati strumenti digitali, dati che impattano sulla nostra privacy. Altro aspetto molto importante riguarda la capacità di agire con relativa autonomia che caratterizza i robot e le macchine cosiddette intelligenti. La capacità di scegliere, agire, ponderare, prendere decisioni, ma anche cambiare idea o risolvere un problema mai incontrato prima è prerogativa dell’individuo come essere pensante. È evidente che immettendo sul mercato questa categoria di oggetti interattivi e autonomi si possono creare dei contrasti che hanno a che fare con le nostre preferenze e scelte. Entriamo, così, nel campo dei valori, il discorso si fa dunque molto delicato. Non si tratta solo di un termostato che magari per risparmiare mi fa trovare la casa fredda, ma di scelte ben più impegnative e gravi, in cui la macchina si può interpolare condizionando la libera volontà del singolo, ad esempio negandomi un muto in banca.

La sorprendente attualità dei pensatori classici

Autonomia, criteri di scelta, valori, sono le categorie che l’etica classica, da Platone ad Aristotele, per citare solo i più grandi, avevano preso in esame. Questioni antiche che ritornano attuali, come dimostra il lavoro che una commissione interdisciplinare di esperti sta portando avanti per conto dell’UE. Su quali versanti state lavorando?

Il gruppo di cui faccio parte insieme ad altri 51 esperti (oltre a Floridi, vi sono altri tre italiani Andrea Renda, ricercatore del Centre for European Policy Studies di Bruxelles, Giuseppe Stefano Quintarelli presidente dell’Agenzia per l’Italia digitale e Francesca Rossi, Università di Padova n.d.r.) ha tre macro obiettivi molto precisi: fornire un quadro etico su disegno, sviluppo e utilizzo dell’IA, definire una piattaforma di valutazione per i prodotti dell’IA che rispondono a dei requisiti etici, elaborare delle linee guida che possono servire al mondo industriale per indirizzare lo sviluppo del business digitale e dell’IA. Sono tutte questioni cruciali perché mettere in campo investimenti correttamente orientati e finalizzati, oltre a far crescere la salute delle imprese, può avere delle ricadute molto importanti sulla progettazione delle politiche sociali.

Una macchina per rispondere a dei requisiti etici cosa deve avere?

Un primo requisito riguarda gli standard di sicurezza, che non rispondono più alla logica del vecchio sistema industriale. Pensiamo all’air bag, oggi tutte le macchine devono montarlo, rispondendo a dei criteri molto precisi. Vale lo stesso per la progettazione dei robot che devono essere coerenti rispetto a criteri di utilizzazione che siano socialmente validi. Interviene infine la valutazione di processi e prodotti che a valle del processo di produzione dovrà testare la congruenza tra la definizione delle scelte strategiche, lo sviluppo del business e il rispetto dei codici etici.

Le trasformazioni in atto stanno sempre più incidendo sulle competenze e gli assetti organizzativi. In Italia e più in generale in Europa il contesto socio – economico è pronto a sfruttare al meglio le opportunità generate della “quarta rivoluzione”?

Non si può rispondere in maniera univoca alla sua domanda. Vi sono a macchia di leopardo zone dinamiche e molto avanzate, nel Sud come nel Nord dell’Europa, talvolta collocate in aree insospettabili, che si stanno attrezzando molto bene. Altre realtà mantengono un atteggiamento tra il timoroso e il riottoso, capiscono l’utilità dell’innovazione, ma hanno paura ad affrontare il cambiamento. Tale atteggiamento è molto diffuso nelle PMI, che spesso non dispongono di quelle risorse necessarie per alimentare gli investimenti in ricerca e innovazione. Si tratta di un errore che spesso anche molti governi fanno. Il “falso risparmio” di oggi, obbligherà a una spesa ancora più alta di adeguamento domani, con tutte le conseguenze del caso.

Individui e macchine sapienti

Questo per quanto riguarda il soggetto – impresa, ma gli individui come dovranno comportarsi di fronte a macchine sapienti (cfr. intervista a padre Benanti pubblicata in questo stesso numero di CST) che presto ne sapranno più di noi?

Sgombriamo il campo da false convinzioni. Proprio perché sono delle macchine, parliamo di dispositivi altamente focalizzati, come dicevo prima, sulla risoluzione di problemi specifici. La lavatrice lava i panni non può fare anche i piatti, il robottino che taglia l’erba non batte i tappeti. Non alimentiamo la fantascienza. L’elasticità, la capacità di fissare le priorità, di modificare un percorso in maniera originale è solo dell’essere umano. La nostra intelligenza non crolla verticalmente quando si trova di fronte a una situazione mai sperimentata nel passato. La mia caffettiera elettrica se manca l’energia si ferma, l’uomo non si ferma trova un’altra soluzione e va avanti. Questa flessibilità che non ha limiti è un connotato della plasticità del nostro cervello, impossibile da replicare in laboratorio. Per dirla in termini filosofici, è perché siamo scollati dal mondo che riusciamo a essere intelligenti, mentre il digitale ha successo solo se è ben incollato ai problemi specifici che deve risolvere.

Tanti timori dunque infondati?

Direi di sì, perché il mondo dell’intelligenza e della significazione, così come la ricchezza del linguaggio articolato dell’uomo, fino alle vibrazioni più intime legate alla sua emotività non saranno mai scalfiti da nessuna macchina.

A proposito di emozioni. Molti studiosi sostengono che anche i sentimenti e l’affettività sono fatti di algoritmi. Vorrà dire che ci innamoreremo di un robot se ci farà gli occhi “dolci”?

Almeno dai tempi più remoti del mito greco gli uomini si sono innamorati degli artefatti. Pigmalione si innamora di una statua che diventa reale, da bambini abbiamo giocato con dei soldatini, credendo che fossero veri, abbiamo innescate battaglie autentiche molto sofferte e partecipate.

L’essere umano è portato alla proiezione. Pensiamo ad Apollo e Dafne, alla metamorfosi della ninfa trasformata in alloro. L’uomo innamorato crea con la sua fantasia scenari da sogno che si dissolvono per ricrearsi subito dopo. Però attenzione a non confondere la realtà con l’immaginazione, l’essere con le proiezioni che continuamente siamo portati a generare, l’uomo con il robot.

Nel saggio sulla “quarta rivoluzione digitale” il capitolo dedicato all’etica arriva verso la fine del libro, legato al concetto di ambientalismo digitale. Per quale ragione?

Perché è essenziale considerare gli aspetti di sistema per affrontare un tema così vasto e complesso. Spesso si parla di etica degli oggetti, dell’IA, della sanità, dell’impresa, si tratta di una frammentazione arbitraria. L’etica è un concetto onnicomprensivo, vorrei, perciò, che si prendesse in esame tutto quello che riguarda l’universo digitale, sfera troppo importante per relegarla nei circoli chiusi per super esperti. Torna ancora di attualità la cultura greca che applicava i principi dell’etica a tutto l’essere, senza parcellizzazioni.

Nella nostra conversazione è stata chiamata più volte in causa l’attualità della filosofia. Giuseppe Cambiano ha scritto un brillante saggio (Sette ragioni per amare la filosofia, ed. Il Mulino n.d.r.) elencando le ragioni per amare una disciplina che sembrava in crisi fino a qualche anno fa. “Fare domande, usare parole, cercare risposte, apprezzare i dissensi, aprire confini, capire gli altri tempi e gli altri mondi” sono queste le ragioni per cui bisogna tornare a esercitare la speculazione filosofica. Condivide la visione di Cambiano?

I motivi ben esplicitati dal grande storico della filosofia sono senz’altro condivisibili, ma aggiungerei una definizione per me decisiva: la filosofia è soprattutto design concettuale, questo è un aspetto della sua eternità. Crea, articola e manipola idee e teorie, interpretazioni e punti di vista, per dare senso al mondo che ci circonda, e alle nostre vite individuali e sociali. Diceva Popper: tutta la vita è risolvere problemi, direi anzi che tutta la vita è identificare nuovi versanti di indagine per andare oltre, per spostare la frontiera della conoscenza in territori inesplorati. Questo intendo per design concettuale, questo è l’uomo, che pirandellianamente agita “l’arrovello dell’arcolaio” sollecitando la sua intelligenza a trovare risposte di senso agli eterni dilemmi che dai tempi più remoti agitano a tutte le latitudini la coscienza dei viventi.

Guarda anche l’esclusiva video Intervista al Prof. Luciano Floridi

 

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