“25 anni al servizio dell’uomo. l’Istituzione che ho l’onore di guidare è un presidio per i vulnerabili in funzione antidiscriminatoria”. Pasquale Stanzione, presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali con queste parole ha aperto la presentazione del volume “25 anni di privacy in Italia” realizzato in collaborazione con l’Ansa dedicato a un anniversario che non può passare inosservato.   “Un diritto – ha spiegato –  che per non diventare tiranno deve trovare un costante bilanciamento tra pubblico e privato, legittimo bisogno di riservatezza e diritto di cronaca. In una prospettiva dell’innovazione aperta ai valori del neoumanesimo non è accettabile nessuna monetizzazione di un valore come la privacy che ha subito una profonda modificazione nel tempo”. Libertà, uguaglianza e dignità costituiscono un trinomio delicato che sollecita la cultura del diritto, la speculazione filosofica, e i territori più avanzati della ricerca scientifica.

“I sistemi giuridici – mette in guardia Guido Scorza, avvocato, studioso di diritto dell’Informatica e delle nuove tecnologie componente del Collegio dell’Authority – andrebbero aumentati se vogliamo governare il prepotente sviluppo della tecno-scienza. Il rischio maggiore è quello di perdere la nostra libertà di autodeterminazione in relazione a una pluralità di scelte da quelle di consumo a quelle culturali sino ad arrivare a quelle relative alla nostra salute e alle cose della politica. Più soggetti terzi – sempre più spesso, peraltro, in maniera poco trasparente – raccolgono e trattano dati capaci di consegnare loro un enorme conoscenza sulle nostre inclinazioni, le nostre preferenze e le nostre debolezze, più tali soggetti, grazie agli algoritmi di intelligenza artificiale e ai big data – acquisiscono l’abilità di orientare, guidare, talvolta persino determinare ogni genere di nostra decisione”. Meno privacy si traduce in meno libertà, cosa che dovremmo tenere bene a mente, in una società degli eccessi, spesso portata a varcare ogni limite.

La lezione di Stefano Rodotà

Lo sapeva bene Stefano Rodotà, “padre” della privacy italiana, che aveva intuito per primo come la tutela della riservatezza fosse un aspetto cruciale della civiltà del diritto. “Vi sono beni – scriveva il grande giurista in Il diritto di avere diritti (ed. Laterza) che devono essere sottratti alla logica economica, che non possono essere oggetto di proprietà. La privacy è uno di questi, basti pensare che il corpo e le sue parti non possono costituire oggetto di profitto”. Rodotà aveva speso molte delle sue energie intellettuali nella definizione di una “Costituzione” per Internet, individuando nell’accesso al sapere, mediato dalle nuove tecnologie, un bene pubblico, al pari dell’aria e dell’acqua che respiriamo. La tutela di quello che definiva il “corpo elettronico”, sostanziato dai dati sensibili e informazioni personali esposti ai cyber attacchi, è da ritenersi un diritto universale, sacro e inviolabile, da osservare con scrupolo. Mentre si fa strada lo scenario della cittadinanza globale, che si sovrappone fatale declino dello stato di Hobbes, consumato nell’orizzonte frastagliato di un mondo senza centro, diventa di importanza cruciale esercitare la sovranità rispettando i diritti di libertà proprietà e partecipazione di tutti gli uomini al dibattito pubblico, anche i più deboli. Tale diritto comincia dal rispetto per la sfera di autonomia e riservatezza entro cui si sviluppa la personalità e il progetto di crescita di ogni individuo che si muove nella complessità della storia.

Opportunità e rischi

La torsione autoritaria imposta dai regimi autocratici (Cina e Russia sono solo i casi più eclatanti) che hanno calpestato il diritto di cronaca e “oscurato il Web”, dimostra l’attualità di questa visione, nel contempo fanno riflettere decisioni, come il recente stop, imposto dai presidi, alle chat che intercorrono su whatsApp tra professori, studenti e genitori. E’ evidente, come si evince da tanti fatti di cronaca, che la tecnologia è entrata fino al midollo della nostra quotidianità, viviamo tutti nella condizione onlife teorizzata dal filosofo Luciano Floridi nel saggio “La quarta rivoluzione” (ed. Raffaello Cortina). Reale e virtuale sono contessuti e perciò non più separabili. “Dopo la rivoluzione eliocentrica, darwiniana, freudiana – spiega lo studioso docente alle Università di Oxford e di Bologna – quella dell’informatica ha stravolto più di tutte la nostra esistenza”.

“La molteplicità degli interessi e dei diritti investiti nell’ambito della privacy è straordinariamente ampia” – ha ricordato Giovanni Maria Flick presidente emerito della Corte Costituzionale che da ministro della giustizia del primo governo Prodi si trovò a collaborare proprio con Rodotà nella definizione della legge istitutiva dell’autorità Garante – In un momento storico in cui la giustizia era travagliata da una molteplicità di problemi, riuscimmo a trovare una sintesi alta tra garanzia ed efficienza, destinata a lasciare un segno nel tempo. Dalla difesa dei big data fino alle rivelazioni biometriche, alla sicurezza dei dati che attengono al riconoscimento facciale di milioni di persone, quella della privacy – prosegue lo studioso che insieme a Caterina Flick ha da poco dato alle stampe: “Il mito dell’informatica, L’algoritmo d’oro e la torre di babele” (Ed. Baldini+Castoldi) – è una materia bollente”.

I pericoli connessi al “volo di Icaro”, lucidamente tratteggiati da Flick, toccano i più svariati ambiti.  Dovremo fare i conti con la sfera dei neuro diritti, nuove discipline prendono campo. Primo fra tutte Il brain reading, che introduce gli strumenti in grado di leggere il pensiero. Credevamo che si trattasse di una superficie insondabile, quella delle motivazioni che albergano nel foro intimo della coscienza. E’ invece arrivato il tempo di occuparsi anche di questo. La sfida per il Garante continua, facendosi più ardua ogni giorno.

Autore: Massimiliano Cannata

Massimiliano Cannata

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