UNA SOCIETÀ “SENZA”, QUESTA È L’ITALIA POST POPULISTA

Intervista VIP a Massimiliano Valerii, Direttore Generale CENSIS

Il 56° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese ha tratteggiato un’Italia malinconica, che vive “imprigionata” – ha commentato il Segretario Generale Giorgio De Rita – in un “tempo di latenza”. Direttore quali scenari si aprono in una situazione sociale segnata da incertezza e paure?

L’elemento di discontinuità rispetto al recente passato è la sensazione, che si è sedimentata nell’immaginario collettivo, di essere esposti a rischi globali fuori dal nostro controllo.Il 61% degli italiani teme un terzo conflitto mondiale, il 59% ha paura che si possa fare ricorso alla bomba atomica, il 58% teme che l’Italia possa entrare in guerra. Siamo, in effetti, al termine di un triennio segnato da emergenze globali, i cui effetti si sono sovrapposti alle nostre vulnerabilità economiche e sociali strutturali, di lungo periodo: la pandemia perdurante, benché in forma attenuata, la guerra cruenta scoppiata alle porte dell’Europa, l’inflazione a due cifre (come non si registrava nel nostro Paese da quattro decenni) e la morsa energetica, con il paventato rischio di un razionamento delle forniture.
L’irruzione dei grandi eventi della storia, che si è rimessa in moto, sulle microstorie delle nostre vite individuali ci fa riscoprire più fragili e, almeno in questo momento, poco disposti a fare ulteriori sacrifici per essere migliori.
I gravi fattori di contesto che Lei ha richiamato nel corso della presentazione del Rapporto, dalla guerra in Ucraina, alla pandemia, dall’ottovolante dell’inflazione al caro energia, hanno determinato il crepuscolo dell’antropocentrismo come modus vivendi. Con quali conseguenze?

Oggi si sta affermando un riconosciuto primato della sostenibilità ambientale e l’ecologismo diventa il nuovo paradigma della cultura collettiva. Sono cambiamenti che possiamo definire epocali: l’individuo comincia ad avvertire di non poter più esprimere un dominio onnipotente e incontrastato sul mondo e sugli eventi. È finita l’era dell’abbondanza, ha affermato recentemente il presidente francese Macron. Direi che tutto ciò fa sì che, al momento, il carattere degli italiani sembra malinconico. Un sentimento che riflette la fine del vecchio ordine delle cose, in attesa che se ne definisca uno nuovo, anche attraverso la riscoperta dei propri limiti quando si tratta di governare il destino.

Un nuovo fenomeno: il friend-shoring

Dopo la lettura apologetica la globalizzazione si sta sgonfiando. Il friend-shoring è il fenomeno emergente che apre la strada a una sorta di guerra fredda. Possiamo spiegare di che si tratta?

Dopo l’aggressione russa all’Ucraina, Janet Yellen, segretario al Tesoro degli Stati Uniti, ha usato questo neologismo, friend-shoring, per dire che in prospettiva i Paesi occidentali dovranno limitare le catene globali del valore e confinare gli scambi internazionali entro un perimetro definito unicamente da quelli
perimetro definito unicamente da quegli Stati che condividono con noi i nostri stessi valori di democrazia e libertà. Certo, suona come un modo edulcorato di parlare di una «seconda guerra fredda». Probabilmente una de-globalizzazione non conviene a nessuno. Ma è indubbio che le frizioni geopolitiche di quest’ultimo scorcio di storia sembrano ridisegnare due poli nel mondo: uno intorno agli USA, l’altro gravitante della Cina. In gioco c’è la supremazia a livello economico, tecnologico e militare sul mondo.

La domanda di prospettiva di benessere e di maggiore equità fa parte dell’agenda collettiva del Paese post-populista. Verso quali equilibri stiamo andando?

Negli ultimi anni, tutte le élite politiche occidentali stanno integrando misure di protezione dei ceti popolari e della classe media, dopo che, come affermano ormai molti analisti, la globalizzazione accelerata degli ultimi trent’anni è colpevole di aver impoverito ampie fasce di lavoratori a vantaggio delle classi medie dell’Asia. A prescindere dalle culture politiche di provenienza e di appartenenza, è questa la tendenza attuale. C’è, ad esempio, una perfetta continuità tra l’amministrazione Biden e il predecessore Trump, (che avevamo indicato come il “populista” per eccellenza) nell’attuare forme di protezionismo verso la Cina attraverso i dazi e vincoli alla vendita di prodotti strategici per la competizione tecnologica, quali i microchip e i semiconduttori. Con Biden, gli Usa hanno registrato il massimo storico di debito pubblico. Mi chiedo allora: chi è il populista?

Si registra una progressiva diminuzione dei reati, aumentano però il senso di insicurezza come si vede molto bene da una lettura attenta dei dati Censis. Come si spiega questa palese contraddizione?

In Italia negli ultimi dieci anni i reati complessivi si sono ridotti di oltre il 25%, ma oggi più della metà della popolazione ha paura di rimanere vittima di reati. Siamo il Paese statisticamente più sicuro di sempre, con il minimo storico di omicidi e di fenomeni di criminalità predatoria, come furti e rapine. In realtà ci sentiamo particolarmente vulnerabili e insicuri a causa di prospettive economiche e sociali incerte.

Un paese senza: l’inverno demografico

Spesso viene sottovalutato il dato demografico. Nel Rapporto si parla di un “Paese senza”: senza giovani, senza infermieri, di fatto senza un motore!produttivo. Siamo destinati al declino?

La transizione demografica, con una pesante denatalità e un forte invecchiamento della popolazione, è la questione numero uno a cui è appeso il nostro futuro. Va affrontata con uno sguardo lungo, perché il

rischio è che si restringa la base lavorativa e produttiva del Paese, cioè la popolazione in attività, che rappresenta il motore produttivo di una nazione.

“I cittadini perduti della Repubblica”, colpisce questa definizione che si trova nel rapporto, perché fotografa un altro fenomeno grave che mette in evidenza le responsabilità della politica. Cosa bisogna fare per ridare ossigeno alla democrazia e vitalità alla partecipazione in un Paese che sembra aver messo in soffitta lo spirito costruttivo e che vede l’infiacchimento di ogni schema proiettivo?

Le ultime elezioni hanno segnato un record di astensionismo si tratta di una vera e propria ferita nella storia della Repubblica: ha vinto il partito del non voto, astenuti, schede bianche e nulle la hanno fatta da padrone.Parliamo di quasi 18 milioni di persone, pari al 39% degli aventi diritto. In 12 province italiane i non votanti hanno superato il 50%. Tra le politiche del 2006 e quelle del 2022 i non votanti sono raddoppiati: +102,6%.

Quando non funziona più l’intreccio virtuoso tra lavoro e acquisizione del benessere, le democrazie vacillano. L’assalto a Capitol Hill – il tempio inviolabile delle moderne democrazie liberali – dello scorso anno – credo vada letto come un segnale da non sottovalutare.La libertà è un tema forte di cui lei si è occupato nel suo ultimo saggio “Le ciliegie di Hegel” (ed. Ponte alle grazie). Ritiene che la perdurante condizione di crisi economica e geopolitica stia mettendo a repentaglio i diritti fondamentali generando un oggettivo stato di sofferenza delle democrazie?
Credo che questo sarà un tema con cui le società occidentali si dovranno confrontare negli anni a venire. Anche perché dall’altra parte del mondo è avvenuto qualcosa che mette in crisi le nostre convinzioni più radicate. Negli ultimi trent’anni in Cina non c’è stata solo una crescita economica impetuosa, ma anche enormi progressi sociali. Fino a trent’anni fa, due terzi dei cinesi vivevano in povertà, oggi solo lo 0,5%. Mentre da quest’altra parte del mondo le classi medie temono il declassamento sociale. Il dilemma che ne consegue è molto chiaro: a che serve la libertà, se una società può stare meglio anche senza essere libera?

 

Autore: Massimiliano Cannata

 

Massimiliano Valerii

 

Twitter
Visit Us
LinkedIn
Share
YOUTUBE