Un affresco del paese reale di oggi, percorso da cambiamenti radicali, attraversato dal vento della rivoluzione tecnologica, in bilico tra passato e futuro, questo in sintesi il cuore di un saggio agile e di piacevole lettura pensato e realizzato da due autori che conoscono il mondo.

Giorgio Pacifici, sociologo del cambiamento, tra i pochi intellettuali a tutto tondo, figura originale di pensatore capace di spaziare sui grandi temi del nostro tempo con lucidità e onestà. Il suo occhio attento va a individuare le fratture, i luoghi in cui l’innovazione si annida, non per dare giudizi di valore, piuttosto per individuare le possibili strade del progresso. Questa attitudine, che lo ha portato a spaziare dall’Asia all’America dove ha insegnato, lo ha recentemente condotto ad occuparsi di quelle che ha definito “Le maschere del male”, un mistero per i credenti e un interrogativo per le coscienze laiche.

Renato Mannheimer, tra i sondaggisti più noti del nostro panorama, aggiunge allo sguardo cosmopolita di Pacifici la superba capacità nell’applicare una potente lente di misurazione e di osservazione quali-quantitativa dei fenomeni che attraversano la contemporaneità.

Colpisce il titolo al plurale, che suona come un elogio della “varietà e della differenza” per una Italia che spera di non essere mai più una “mera espressione geografica”, per usare lo sprezzante giudizio storico del Metternich.

Il fattore tecnologico è ancora una volta una cartina al tornasole dell’analisi sociale, come dimostra la stessa architettura del testo che riflette lo stile di un metodo dialogico, aperto, problematico. Il contesto culturale entro cui va infatti inserito questo lavoro è quello disegnato da Daniele Gambetta nell’antologia “Datacrazia” (di cui parleremo nel prossimo numero della rivista) e da autori come Michele Mezza (cfr. intervista) che in “Algoritmi di Libertà”, denuncia la potenza del calcolo che vede l’individuo controllato e prosciugato nella sua consapevolezza e autonomia cognitiva e comunicativa. La sfida è quella di tentare di partecipare alla costruzione di senso entrando nel circuito relazionale della rete, scongiurando il pericolo che un algoritmo possa decidere per noi, imprigionandoci in un meccanismo perverso.

Importante soffermarsi sulla definizione di OPERATORE GLOBALE coniata dagli autori perché, oltre ad essere di per sé innovativa, ci riporta al linguaggio degli studiosi della complessità e della termodinamica, abituati a ragionare sui sistemi lontani dell’equilibrio, in quanto catalizzatori dei processi di cambiamento. L’operatore globale fa pensare a un soggetto denso di articolazioni interne, che esprime poi il corpo sociale dell’Italia di oggi, che presuppone la messa in crisi dell’idea di sistema, mentre si liquefà il concetto di classe e le identità nel contesto digitale diventano porose, fluttuanti.

I dati (il saggio è ricco di un’analisi puntuale del corpo sociale italiano di oggi particolarmente interessante) riportati nel testo impongono una riflessione. Proviamo a richiamare i più allarmanti, quelli che fanno sentire la necessità di una cura sociale: tra la popolazione italiana si calcola che vi siano 4 milioni che vivono nella povertà assoluta, dentro un’area del malessere che sfiori i 7 milioni di unità. 50 mila sono i senza fissa dimora. A questo punto bisognerà chiedersi: Quali possono essere se ci sono, i fattori di coesione?

In una società polarizzata, in cui l’uso delle tecnologie è una cartina al tornasole del posizionamento sociale, forse sarà impossibile trovare una risposta che prescinda dallo sviluppare al più presto nuove competenze e professioni.

Basti pensare al fortunato gruppo della “@ristocracy”, che vive dentro l’area del benessere (esiste ancora a dispetto di quanto si possa pensare) e che vive il SOGNO TECNOLOGICO, perché ha imparato a usare gli apparati hi-tech quali strumenti di libertà.

Un punto di osservazione importante è rappresentato dall’area della creatività, da quei “vagabondi del virtuale” identificabili con quella categoria di giovani, che hanno attitudine per la mobilità e che hanno una mente globale, che possiedono le potenzialità per interpretare i processi di metamorfosi che caratterizzano il Paese e che potrebbero tramutarsi in classe dirigente, se solo il paese si accorgesse di loro. Una cosa è certa: difficile capire in questo momento di confusione quali saranno i ceti emergenti non solo in Italia, ma in Europa.

In conclusione si può dire che tra luci e ombre la lettura del saggio di Mannheimer e Pacifici ci lascia con il positivo desiderio di edificare un nuovo orizzonte di convivenza, basato su sensibilità etica e valori, in cui ciascuno potrà dire la sua, in un giusto bilanciamento di diritti e doveri, e dare un contributo fattivo per la costruzione della società del futuro

Massimiliano Cannata

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