Il numero di utenti che contraddistingue Facebook è senza dubbio una peculiarità che lo rende unico e attrattivo sotto diversi punti di vista: una realtà per 
i giovani, una scoperta per gli adulti, una miniera d’oro per le aziende e uno strumento di intelligence per gli Stati.

A memoria d’uomo non è mai esistito un ambiente strategico di queste dimensioni in cui le persone, a prescindere dalla loro natura, colore e provenienza, pubblicano volontariamente e gratuitamente informazioni personali sulle proprie abitudini e sulla propria quotidianità. Un ecosistema complesso usato anche dai terroristi per l’avvicinamento e il reclutamento di nuovi lupi solitari, attraverso dialoghi atti ad avvicinare e persuadere giovani utenti a intraprendere un percorso di radicalizzazione.

Da un punto di vista sociale è senza dubbio un fenomeno allarmante da non trascurare, ma da un punto di vista tecnico informatico, e anche di business, potrebbe essere una grande opportunità da cogliere con coraggio e decisione. Fare di necessità virtù significa in questo caso aggregare competenze interdisciplinari, per esempio informatiche, psicologiche, didattiche, giuridiche e linguistiche, per progettare e sviluppare nuovi automi intelligenti (cyber bot) per l’analisi linguistica e semantica dei dialoghi che intercorrono fra gli utenti nei social network. Un business in forte crescita in cui anche la comunità europea ha deciso di investire cifre a sei zeri. Le caratteristiche del linguaggio naturale utilizzato dagli utenti all’interno delle fonti aperte come Facebook, sono una risorsa ricca di informazioni che non può più essere trascurata. Nasce quindi la necessità di sviluppare nuovi agenti smart debitamente addestrati capaci di riconoscere gli atti comunicativi degli utenti malintenzionati, il loro stile comunicativo e soprattutto il rapporto fra motivazione, emozioni e comportamenti interpersonali. Una sfida nella sfida, in cui le giovani generazioni di nativi digitali, attraverso la loro forma mentis informatica, la loro dimestichezza e la loro resilienza professionale, potrebbero contribuire ad affrontare e, forse, risolvere. Nessuno meglio di loro è in grado di codificare e decodificare la forma del linguaggio utilizzato oggi in rete, sempre più sintetico, destrutturato e metaforico. Di fatto, ampiamente sfruttato per il reclutamento di nuovi adepti da avvicinare alla radicalizzazione. È opportuno quindi fare lo sforzo di provare, anche se in punta di piedi, a entrare nel loro terreno comune, spesso mediato da ore interminabili alla playstation, formulando le opportune domande e interpretando le rispettive risposte.

Le più grandi aziende informatiche al mondo, come Google, Facebook, Yahoo, e altre ancora, hanno fatto il primo grande passo investendo pesantemente nell’alfabetizzazione informatica delle nuove generazioni, e in particolare in progetti didattici utili a insegnar loro i paradigmi di programmazione logica che consentono di acquisire una buona capacità di astrazione. Ora spetta a noi, docenti e professionisti, dar loro i contesti operativi concreti e stimolanti in cui possano dare spazio alla creatività, sperimentando in forma guidata soluzioni eclettiche e originali che potrebbero davvero cambiare il corso degli eventi, di natura sociale, economica ma anche e soprattutto di sicurezza personale.

La triste cronaca delle ultime settimane porta alla luce la crescente necessità di avvalersi di nuovi modelli sostenibili, da utilizzare per affrontare adeguatamente i rischi emergenti di un mondo che cambia ad alta velocità. Le stesse forze dell’ordine, locali o globali che siano, arrancano nel fronteggiare attacchi alla sicurezza con l’imbarazzo di chi, fino a poco tempo fa, era convinto che la semplicità non fosse per niente il livello più alto della complessità.

Il rischio in questo momento è persistere a porsi le stesse domande, fondate su esperienze di un mondo ormai lontano, meravigliandosi di volta in volta della monotonia delle risposte. Purtroppo nessuno, autorità comprese, è in grado di scorgere all’orizzonte una soluzione che possa affievolire la confusione e la paura in corso. Per un genitore che ha perso un figlio durante uno degli ultimi attentati terroristici in Francia, la domanda sorge spontanea: come è possibile che alla soglia della quarta rivoluzione industriale, caratterizzata dalla tanto acclamata intelligenza artificiale, non vi siano strumenti (automi) informatici (possibilmente resilienti e intelligenti) da impiegare per il monitoraggio continuo e approfondito della rete Internet?

Forse, il monitoraggio in corso dei social network è sì necessario, ma non più sufficiente, almeno per come è concepito oggi. L’analisi dei tanto acclamati «big data», contraddistinti dalle famigerate quattro «V» (Volume, Velocità, Varietà e Veracità) richiede l’aggiunta di due nuovi componenti: il contesto di provenienza dei dati e la loro cultura. Sì, proprio quest’ultima potrebbe arricchire ulteriormente l’analisi tecnico-scientifica, con l’intento di estrapolare informazioni utili a determinare per tempo la spinta sociale che ha portato un particolare utente a formulare un determinato atto comunicativo. A questo proposito, un approccio interessante potrebbe

Come è possibile
 che alla soglia della quarta rivoluzione industriale, caratterizzata dalla tanto acclamata intelligenza artificiale, non vi siano strumenti informatici da impiegare per
il monitoraggio continuo e approfondito della rete Internet?

unire gli algoritmi di «artifical intelligence», le fasi di «machine learning» ed i processi di organizzazione delle informazioni proposti dalla «big data analytics». Una convergenza strategica, ma anche ambiziosa, perché i risultati oggi, purtroppo, parlano chiaro: la radicalizzazione e la propaganda non possono essere automaticamente identificati nella loro forma completa.

Ed è proprio qui che si annidano le grandi opportunità di sviluppo, fortemente interdisciplinari, per chi di mestiere ha il compito e il dovere di pensare a soluzioni innovative ed efficaci. Per il drammatico strascico di morti degli ultimi mesi, non possiamo più permetterci il lusso di attendere il riavvio del sistema affinché il problema si risolva «magicamente» da solo. Dal mio punto di vista, ognuno di noi nel suo contesto sociale e professionale, è detentore di un piccolo ma importante pezzo di soluzione, che per dare buoni frutti dovrà per forza essere condiviso e nel suo insieme sostenuto. Di fatto, dobbiamo imparare dai nostri avversari, la loro efficacia pone le sue radici, per quanto drammatiche, pericolose e deplorevoli, in un unico grande e globale terreno comune, condiviso e difeso.

Alessandro Trivilini, responsabile del Laboratorio di informatica forense della SUPSI

Alessandro Trivilini

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