I SISTEMI GIURIDICI VANNO “AUMENTATI”, SE VOGLIAMO GOVERNARE LO SVILUPPO DELLA TECNO-SCIENZA

Intervista Vip con l’avv. Guido Scorza

“Nella società globalizzata nella quale viviamo l’ambito naturale di vita dell’uomo e delle imprese e il mondo intero si dovrebbe lavorare di più sull’identificazione di una sorta di nuova lex mercatoria dell’ecosistema digitale che su esercizi di “nazionalizzazione” di servizi digitali. Ciò non toglie – spiega Guido Scorza componente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati personali tra i massimi esperti di diritto dell’informatica applicato alle nuove tecnologie – che soprattutto in un momento nel quale sempre più dati finiscano sulle cosiddette nuvole (come il cloud in questo momento al centro dell’attenzione dei più), si debba fare il possibile per garantire ai cittadini europei che, “lassù” i dati, a cominciare da quelli personali, siano al sicuro almeno come “quaggiù” e, anzi, se possibile, più al sicuro”.

Avvocato, i Garanti europei hanno lanciato un’indagine coordinata relativa all’utilizzazione dei servizi cloud da parte del settore pubblico. Comincerei col chiederLe a che punto siamo su questo nuovo fronte?

Sul punto bisogna essere estremamente chiari e rifuggire qualsiasi genere di ipocrisia istituzionale. Viviamo in un’epoca di neo-colonialismo digitale. Il nostro Paese, così come l’intera Unione europea, è in una condizione di evidente dipendenza tecnologica rispetto ad alcune economie straniere: Stati Uniti e Cina, innanzitutto. È una condizione di fatto figlia di una lunga stagione nella quale dapprima non si sono comprese le caratteristiche di quella che oggi abbiamo imparato a chiamare economia digitale e, quindi, quando tardivamente si sono capite, si sono fatte scelte sbagliate incapaci di supportare la nascita, in Europa, di piattaforme e servizi digitali capaci di competere sui mercati globali con quelli offerti prima dalle corporation americane e poi dalle società cinesi. Ma, questa, ormai è storia. Ora si sta correndo ai ripari ma si gioca di rincorsa e illudersi di ribaltare la situazione attuale è, forse, velleitario specie se si sceglie di farlo provando a ergere fragili confini digitali.

Meno Privacy vuol dire meno libertà

La nostra vita è “tracciata” dai dati. Un video curato dall’Authority particolarmente evocativo parla di questo “nuovo tesoro” da proteggere. Quali sono le principali tipologie di rischio connesse alla nostra vita personale e lavorativa, legate all’espansione dell’information society?

Il rischio maggiore è quello di perdere la nostra libertà di autodeterminazione in relazione a una pluralità di scelte da quelle di consumo a quelle culturali sino ad arrivare a quelle relative alla nostra salute e alle cose della politica. Più soggetti terzi – sempre più spesso, peraltro, in maniera poco trasparente – raccolgono e trattano dati capaci di consegnare loro un enorme conoscenza sulle nostre inclinazioni, le nostre preferenze e le nostre debolezze, più tali soggetti – anche grazie agli algoritmi di intelligenza artificiale e ai big data – acquisiscono l’abilità di orientare, guidare, talvolta persino determinare ogni genere di nostra decisione. Meno privacy significa meno libertà.

In un recente convegno internazionale che si è tenuto a Palermo si è parlato di ruoli di responsabilità e controllo della Privacy in ambito sanitario. Gli esperti intervenuti si sono soffermati, in particolare, sul ruolo del DPO. Si può fare un bilancio sui vantaggi che l’introduzione di questa figura ha apportato nei contesti produttivi?

Forse è ancora presto, a poco più di tre anni dall’entrata in vigore delle nuove regole e dall’introduzione nel nostro Ordinamento della figura del DPO per fare bilanci attendibili. Si è, indiscutibilmente, trattato di una misura apprezzabile che, in generale, sta contribuendo in maniera significativa, almeno, alla diffusione della cultura della privacy in contesti pubblici e privati nei quali, prima, tale cultura non esisteva. Guai, però, a negare che, come in molte cose della vita, la differenza la fanno le persone. Ci sono DPO che, in una manciata di mesi, hanno accresciuto enormemente la qualità delle organizzazioni nelle quali operano e ci sono DPO che si sono lasciati travolgere dalle organizzazioni nelle quali operano senza riuscire ad apportare alcun contributo significativo. La scelta di un DPO è una scelta strategica dell’ente – pubblico o economico che sia – e deve essere fatta nel modo più rigoroso possibile lasciandosi guidare dalla ricerca delle maggiori competenze disponibili sul mercato. Se si affronta tale scelta come se si trattasse di una formalità burocratica alla quale adempiere, non si fa un buon servizio né alla propria realtà aziendale o amministrativa, né, più in generale, al diritto alla privacy.

L’ “errore” di Cartesio

Mi rifaccio a un passaggio dell’intervento che ha tenuto nel capoluogo siciliano: “Abbiamo accettato supinamente dopo l’11 settembre una compressione forte della nostra libertà di agire e di muoverci. Da quel momento – ha ricordato – anche se è cessato quel pericolo non siamo più tornati indietro, questo deve far riflettere sui percorsi da seguire in una società segnata da criticità ricorrenti. Quello che appare sempre più evidente è la difficoltà a trovare un bilanciamento tra i diritti universali, la libertà e la sicurezza. Impresa sempre ardua per ogni legislatore a qualsiasi latitudine si trovi ad operare, se pensiamo che sarà chiamato a ridisegnare il campo delle norme, entro cui si costruiscono quelle relazioni sociali, che fanno comunità e che sono alla base del nostro vivere civile”. Non vorremmo certo trovarci nei “panni scomodi” del legislatore, quali scenari si aprono sul terreno del delicato bilanciamento tra sicurezza e libertà?

La situazione è tradizionalmente delicata con picchi – come quelli registrati dopo quel famoso undici settembre del 2001 e negli anni della pandemia – emergenziali. Solo il diffondersi di una reale cultura dei diritti fondamentali – privacy inclusa – può cambiare significativamente le cose. Bisogna ricordarsi che, in democrazia, non esistono diritti, ovvero diritti capaci di fagocitare altri diritti e che la compressione di un diritto dovrebbe essere accettabile solo nella misura minima necessaria per consentire l’esercizio di un altro diritto e per il tempo strettamente necessario al raggiungimento di tale risultato. Soprattutto, non dovremmo mai dimenticare le parole di Louis Brandeis, uno dei padri del diritto alla privacy, in una celeberrima dissenting opinion mentre era giudice alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America: “L’esperienza dovrebbe insegnarci a essere più preoccupati di proteggere la libertà quando un governo persegue scopi benefici. Gli uomini sono naturalmente all’erta per respingere l’invasione della loro libertà da parte di governanti malvagi. I più grandi pericoli per la libertà si nascondono nell’azione insidiosa di governi ben intenzionati ma incapaci di comprendere le conseguenze delle loro azioni sulle libertà e i diritti fondamentali.”

In un affascinante saggio, “L’errore di Cartesio”, richiamato dal filosofo Giacomo Marramao in occasione della giornata europea della Privacy che ogni anno l’Autorità Garante organizza, Antonio Damasio chiama in causa il celebre pensatore del “cogito”, responsabile di non aver tenuto conto che la “sostanza” dell’individuo è costruita su un fitto intreccio di ragione e passione. “La mente è un idea del corpo, mentre il cervello è un sentire il corpo emozionalmente”, la mente non svela, per dirla in sintesi, la nostra identità. Questa suggestione ci fa comprendere molto bene che la nostra biografia è qualcosa che va oltre la biologia. Quali sono le implicazioni sul complesso piano dei neurodiritti?

La mente non è certamente la nostra identità ma nella mente prendono forma e, in parte, azione la maggior parte delle nostre scelte che danno forma alla nostra identità. L’accesso di terzi alla nostra mente e ai nostri pensieri ormai divenuto realtà espone la nostra libertà di plasmare la nostra identità a un rischio enorme. Non è lontano il giorno nel quale il nostro pensiero potrà essere eterodeterminato e, quel giorno, noi ci troveremmo ad essere non chi vorremmo essere ma chi, soggetti terzi, decideranno noi si debba essere. Ieri, tutto questo, era possibile solo nei romanzi di fantascienza.

La Tecnoscienza e la prospettiva del “metaverso”

Il prepotente sviluppo della tecnoscienza impone una sempre maggiore capacità dell’uomo di governarla. Tema delicatissimo su cui ha lavorato per una vita Stefano Rodotà invocando una “Costituzione per Internet” oltre che una tutela efficace di quello che definiva il “corpo elettronico”, anticipando tante delle questioni che sono esplose negli ultimi anni. Quello di Rodotà è destinato a rimanere un sogno da confinare nel regno dell’utopia?

Credo che quello di Stefano resti, in questa stagione della vita del mondo, l’unico scenario capace di garantire che il “metaverso” che verrà non rappresenti una delle ultime stagioni delle nostre democrazie. Nessuna utopia, quindi ma un progetto, il più solido di tutti, di scongiurare il rischio di una prepotente privatizzazione di ogni dinamica di governo dell’esistenza umana. Senza una carta universale dei diritti, saranno, inesorabilmente, i termini d’uso dei grandi fornitori di servizio a decidere cosa chiunque di noi può fare o non fare, dire o non dire e, dunque, a scrivere il futuro dell’intera umanità.

Discipline come il Brain-raiding, competenza che consente di leggere il pensiero, e di interpretare la superficie, che credevamo insondabile, delle motivazioni profonde che innescano l’azione del soggetto, che implicazione possono avere sul piano della disciplina giuridica?

Se il pensiero diventa accessibile a prescindere da ogni sua manifestazione e se diviene hackerabile, ci sono interi sistemi regolamentari, da quelli in materia negoziale e a quelli relativi alle cose della democrazia che andranno radicalmente ripensati e riscritti. Sin qui la volontà inespressa – in qualsivoglia dimensione – è improduttiva di effetti giuridici. Ma, naturalmente, questo stato di cose non potrà restare tale se, domani, anche i pensieri inespressi saranno – come in parte già sono – conoscibili da chiunque.

La triplice scansione Habeas corpus, habeas data, habeas mentem che si sta profilando con lo sviluppo della tecnoscienza, come va declinata nell’orizzonte filosofico e culturale posto a fondamento del sistema giuridico occidentale?

Il “metaverso” sarà un mix di realtà virtuale e realtà aumentata. In un contesto di questo genere anche i nostri sistemi giuridici andranno “aumentati” per renderli capaci di governare fenomeni che si arricchiranno – e, in parte, si sono già arricchiti – di nuove dimensioni. L’habeas mentem è, semplicemente, in questa prospettiva una nuova dimensione del diritto all’autodeterminazione dell’individuo da garantire e proteggere contro ogni esercizio di compressione.

Autore: Massimiliano Cannata

 

Guido Scorza

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