OLTRE LA TECNOFOBIA di Vittorio Gallese, Stefano Moriggi, Pier Cesare Rivoltella – ed. Raffaello Cortina

Il vecchio brontolone deve lasciare in pace Pollicina una volta per tutte, perché i bei tempi andati non erano l’età dell’oro, non è vero che si stava meglio quando si stava peggio. Il percorso che abbiamo fatto, dalla povertà e dalle guerre del Novecento, il superamento dello stato di ignoranza diffuso fino a tempi molto recenti, non può ammettere nostalgie. Alt, dunque, alla “Retrotopia” quello stato dello spirito ben descritto dall’ultimo Bauman, che ci porta a mitizzare il passato, in un capovolgimento dell’utopia, che lavora sulla speranza per costruire mondi possibili.

Il saggio di Gallese, Moriggi e Rivoltella dà, con una scrittura brillante che invoglia il lettore ad andare fino in fondo, una scossa forte alle vecchie categorie degli “apocalittici” e “integrati”, non più praticabili in un mondo che è cambiato. Inutile, oltre che improduttivo, condannare lo sviluppo delle tecnologie: fanno parte di noi, l’homo digitalis, come spiegano gli autori, ha una sua visione della realtà, una postura, un modo nuovo di essere nel mondo. Lo scritto del grande Michel Serres, richiamato dagli studiosi, fotografa, nella forma del dialogo platonico, uno spaccato del confronto-scontro generazionale che da sempre connota il passare delle epoche.

Vecchi e giovani, come scriveva Pirandello; boomer contro nativi digitali come si scrive oggi: il tema rimane sempre lo stesso: comprendere l’innovazione, invece di negarla; farla entrare nel quotidiano sfruttandone le potenzialità, invece di demonizzarla. Esercizio difficile da sempre e in qualunque contesto, ma che non possiamo rinunciare a fare se vogliamo stare nel mondo senza subirlo. “La ricetta non è il controllo, ma la fiducia”: concetto particolarmente adatto a chi opera nella cyber security, e che si trova davanti continui cambi di attori e scenario. Il libro propone, nell’ultimo capitolo il “Manifesto dell’Oltretecnofobo”, che dovremmo cercare tutti di consultare e praticare. Poche regole chiare e straordinariamente utili per percorrere la strada di una piena cittadinanza digitale, che vale la pena ripercorrere punto per punto.

La tecnologia è umana: non siamo spettatori ma agenti. Pensare con la tecnologia non contro di essa. Critica sì, rifiuto no. La tecnologia non è solo consumo; il digitale è un ambiente, non una minaccia. Non esiste un’unica alfabetizzazione. Il vero pericolo è il determinismo: tecnofobia e tecnolatria sono due facce della stessa medaglia. Il futuro è da scrivere, non da temere.

Il manifesto redatto dagli autori è stato redatto tramite l’interazione con GPT-40. La cooperazione uomo-macchina è dunque possibile. E se cominciassimo da lì, superando le paure che lo stesso Platone nutriva rispetto alla scrittura, tecnologia che – consegnando pensieri e parole alla pagina scritta – avrebbe, per il grande filosofo, portato tutti a perdere la memoria.

Il “farmacon” che nella lingua greca è rimedio, ma anche veleno (come viene detto nel dialogo platonico del Fedro, che si può considerare il primo saggio di teoria della comunicazione dell’Occidente) è termine che si addice perfettamente all’ambiguità di fondo che avvolge la nostra visione degli strumenti digitali. Per tramutarsi in rimedio, gli autori suggeriscono di rifarsi a Tisseron, che in “Diventare grandi all’epoca degli schermi digitali” (ed. Scholé Brescia n.d.r.) enuncia tre indicazioni operative: Alternanza, Autoregolazione, Accompagnamento.

Il suo pensiero è rivolto soprattutto ai nostri figli, ma vale per tutti. Come per la dieta mediterranea, non si può stare davanti a uno schermo dimenticando il mondo che ci circonda. E soprattutto, autoregolazione – che si sposa con l’accompagnamento – può emergere se ritorna la parola, il dialogo a interpolarsi tra noi e la macchina. È su questo terreno che l’insegnamento di Platone può tornare utile, a patto di utilizzare correttamente la preposizione, come fanno gli autori che intitolano un capitolo: Educare nel digitale, “nel”, piuttosto che “al” o “sul”, perché siamo dentro il virtuale, come in una dimensione omeopatica. Lo sosteneva Derrick De Kerckhove abituato a seguire le lezioni di un certo McLuhan, che in fatto di media e messaggio qualcosa di importante l’ha certo detta.

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