Inventeremo nuove piazze

Questo lavoro fornisce una sorta di consulenza al lettore. Nel tempo in cui viviamo sentiamo anche il bisogno di parole autorevoli, cioè etimologicamente che ci permettano di riconoscerci, in senso parziale come è ovvio, nei loro autori. È il carattere del libro, della testualità scritta che dà a questa lettura-ascolto un piacevole senso di confronto (e anche di conforto).

Trasformiamo l’apparente “delirio” in “metafora”

Ho provato a incrociare la mia esperienza di questo periodo, provando a renderla davvero esperienza come diceva John Dewey, cioè “attraverso le maglie dell’immaginazione, in modo da adattarla alle esigenze dei sentimenti” (1920). Dunque, provare a vivere ciò che ci tocca vivere come già immerso nella memoria. E allora mi sono chiesto perché, avendo fatto ordine nella biblioteca, in questi giorni di isolamento, mi fossi imbattuto tra gli altri, in due autori, oltre a Dewey: Giovanni Papini e Frank Kermode. Papini intervista Frank Lloyd Wright, nel 1946 (o ’47?).

Il grande architetto ha reazioni da visionario, non soltanto si dichiara nemico delle grandi metropoli e dei grattacieli, ma afferma che il genere umano “deve smettere d’ingombrare e d’imbruttire le sante e libere campagne con le sue goffe costruzioni di pietra, di ferro e di cemento”. Wright sogna una architettura senza architettura, e vorrebbe valorizzare le risorse naturali, gli alberi, le grotte e le caverne.

Dobbiamo trasformare l’apparente delirio in metafora, e quindi concordare con quanto sostenuto da Salvatore Settis nel libro curato da Massimiliano Cannata. Il cambiamento anche forzato degli orizzonti ci porta quasi a confondere il progetto con il sogno, pur di saltare il presente come un tempo che dev’essere comunque superato. Frank Kermode, con le sue lectures del 1965 (The Sense of an Ending) riprende, con sant’Agostino, l’idea che l’uomo deve essere sempre in grado di pensare a un nuovo inizio, in contrasto con la modernità che continua invece a elaborare modelli di ansietà, con i conseguenti atteggiamenti emotivi tipici: “è una particolarità della immaginazione della nostra epoca, e forse della nostra tradizione culturale, quella che ci si trovi sempre alla fine di un ‘epoca”.

E quindi ecco i luoghi comuni: quello della ‘crisi’, dei nostri anni Ottanta, quello della ‘sfida’ e della ‘complessità’, all’inizio del Terzo Millennio e ora?

La città “luogo di sensi” contraddittori

Le “mitologie apocalittiche” di cui parlava Kermode sono state tipiche della fin de siècle, ora ci colpiscono anche con effetti sul piano cognitivo, facendoci mettere in dubbio quello che veniamo a sapere, in un mix di insicurezza e contraddizione insita nella vastità di informazioni che ci pervengono da agenzie variamente accreditate.

Il saggio si focalizza sulla città come luogo di sensi contraddittori ma anche di nuove mediazioni. Necessariamente le etimologie ci aiutano. E cives e civile si assomigliano, e così cultura e coltivare, parole che nonostante tutto conservano comuni etimi spirituali. Ma anche le contraddizioni aiutano, e dunque è bene coltivare paradossi: rispettare le distanze ma rafforzare incontri e legami, emancipare la socialità dal sospetto e dall’invidia, orientarsi sulle virtù che scaturiscono dal senso di comunità. Magari, nonostante tutto, inventeremo nuove ‘piazze’, saremo ancora ‘paese’: cercando di esportare con fantasia questi valori nella nostra

Europa, con sempre meno confini ma sempre più frontiere, cioè spazi da inventare e da negoziare.

La città per l’uomo ai tempi del covid 19

Autore: Gian Paolo Caprettini, scrittore, già professore di Semiotica Università di Torino

ed. La Nave di Teseo

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