L’età delle piattaforme nella società del rischio

Il saggio I “poteri privati” delle piattaforme e le nuove frontiere della privacy, curato dal presidente dell’Authority di settore Pasquale Stanzione, tematizza molto bene il delicato rapporto che oggi sussiste tra evoluzione del diritto e sviluppo tecnologico. Età delle piattaforme è la definizione utilizzata dagli studiosi per descrivere il contesto entro cui siamo ormai tutti immersi. Il potere di controllo e di indirizzo che i “padroni” della Rete hanno acquisito giustificano questa etichetta, che descrive molto bene i nuovi equilibri economici che si stanno facendo strada.
I contributi che compongono lo studio, firmati dai massimi esperti del settore, abbracciano una pluralità di versanti: i dati come beni giuridici, le dinamiche del consenso sul trattamento delle informazioni nella dimensione europea, il delicato fenomeno della “monetizzazione” della privacy che si sta verificando in diversi paesi, il nuovo modello giuseconomico che sta emergendo in seguito alla proliferazione dei network, la giurisprudenza applicata a Facebook, il binomio piattaforme e visibilità del potere.
Da uno sguardo sinottico emerge in maniera netta come la protezione delle informazioni è ormai divenuta un fattore determinante che travalica lo stretto ambito dei tecnicismi chiamando in causa gli equilibri geopolitici. “Paesi come la Cina – commenta il Garante – stanno facendo coincidere spazio fisico e virtuale, confini territoriali e risorse informative, imponendo un regime vessatorio fatto di censure e controlli che cozza con il DNA stesso della rete, nata come presidio della libera circolazione delle idee”. Per converso va anche detto che in realtà come gli USA si discute di declinare in forme nuove l’dea di sovranità digitale, a dimostrazione di quanto stretto sia ormai il rapporto tra ICT ed equilibri democratici. Il processo di “datificazione” della vita collettiva sta ridisegnando, infatti, gli assetti di potere e le strategie di gestione del consenso.

Rule of low e rule of technology

L’UE sta tentando di trovare una linea strategica coerente per non rimanere spiazzata dalle trasformazioni in atto. La spinta riformatrice, che da più parti si sta facendo sentire, dovrà contemperare rule of low e rule of technology. Attorno a questo complesso binomio che chiama in causa i fondamenti del diritto positivo ruota lo strumento regolatorio dell’artificial Intelligence Act che ha introdotto alcune misure finalizzate ad un uso corretto dell’intelligenza artificiale. Rimodulare il perimetro del tecnicamente possibile, sulla base di ciò che si ritiene giuridicamente accettabile, è il nuovo imperativo categorico che governi, istituzioni e imprese dovranno tenere ben presente. Non si tratta, come si può evincere dalla molteplicità delle posizioni espresse dagli autori di questo lavoro, della “fredda rivalsa” di alcuni cultori del diritto, ma più semplicemente della ricerca di una reale sostenibilità etico-giuridica che riguarda gli assetti futuri della “super società”. Per governare il cambiamento, regolare la convivenza nell’orizzonte mutante dell’Infosfera servirà uno sforzo politico – istituzionale senza precedenti, che darà l’occasione all’opinione pubblica italiana ed europea di valutare la qualità delle classi dirigenti protagoniste in questo delicato momento storico.

Il Digital services Act e il Digital Markets Act sono gli istituti preposti a una regolazione del potere privato delle piattaforme. Risulterà necessario, nello scenario che si sta aprendo, rafforzare una tutela ad ampio spettro degli utenti, che va attuata insieme a un controllo puntuale dei flussi informativi che si muovono nel circuito crossmediale, sempre più esposti a un processo di sfruttamento e di monetizzazione, che è il risvolto più inquietante legato allo sviluppo dell’information society.

“Algoritmo d’oro” la definizione del presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick (cfr. CST. N 2 2022) appare calzante. L’immagine biblica del “vitello d’oro” torna prepotente, mentre si profilano gli utenti, si scava nelle loro abitudini per indurre bisogni fittizi da sfruttare commercialmente. Lo “spionaggio” sotto traccia non ha limiti, si estende fino a ricomprendere lo stato di salute degli individui allo scopo di colpire le vulnerabilità e di speculare sulla fragilità dei soggetti. “Lo stiamo vedendo – spiega Flick – in quello che sta avvenendo con la guerra in Ucraina, e lo abbiamo visto prima con la pandemia. Una “babele di voci” non sempre competenti e realmente interessate a scandagliare i fatti con la massima obiettività possibile si rincorrono, con il risultato che le lingue si confondono e confluiscono in un “linguaggio unico” (tra uomo e uomo, tra uomo e macchina, tra macchina e macchina) come quello della piana di Ur dove si iniziò a costruire la torre di Babele. L’interesse che muove tutto è duplice, ed è facilmente individuabile: potere e profitto”.

Sul pendio molto pericoloso di uno sfruttamento indebito del nostro “corpo elettronico”, paventato da Flick, rischia di scivolare l’Europa tutta, come “comunità patria del diritto occidentale. Esiste il rischio – denuncia Stanzione – di una rifeudalizzazione dei rapporti sociali, generata da una discriminazione, neanche tanto sottile, attuata sulla base di informazioni illecitamente acquisite. Fake news e narrazioni fuorvianti e spesso ideologizzate che ci allontanano dalla realtà stanno, così, riportando l’orologio della storia molto indietro nel tempo, facendoci respirare atmosfere che speravamo fossero definitivamente superate.

Le conseguenze politiche di questo articolato e contraddittorio complesso quadro evolutivo non sono di poco conto. Il lavoro su piattaforma dando vita alla “Gig economy” sta infatti creando i presupposti per un nuovo “caporalato”, che prospetta il rischio di un’involuzione sociale che investe la qualità stessa della democrazia. Una governance corretta del digitale consentirebbe di scongiurare le azioni di targeting politico, funzionali a condizionare il consenso, fino a pregiudicare l’esito delle competizioni elettorali. “La potenza di calcolo, di cui oggi disponiamo, ha una capacità di “colonizzare il pensiero” incidendo sulla libertà individuale e sui diritti fondamentali”, l’allarme espresso dall’ex presidente della Camera Luciano Violante tocca il punto cruciale di una partita impegnativa. Il capitalismo delle piattaforme non è solo un capitalismo cognitivo, perché si traduce in un “capitalismo delle affezioni” (la definizione è di Eric Sadin), in grado di influenzare scelte e comportamenti.

Habeas mentem e psicopolitica

Il filosofo Aldo Masullo ha introdotto la categoria della “psicopolitica”, siamo un passo oltre la “biopolitica” teorizzata da Foucault. Non si tratta di disquisizioni dotte, l’uso di sofisticati algoritmi e dell’IA nelle forme più avanzate ci mette in possesso di una facoltà di governo della mente, con conseguenze inquietanti. Stiamo acquisendo la possibilità di condizionamento delle regioni più remote della volontà individuale, che non possono lasciarci indifferenti. Il documento stilato dal G7 dei Garanti europei lo scorso sette e otto settembre sotto la presidenza del Commissario federale tedesco che sollecita la definizione di un “modello etico” per l’uso dell’intelligenza artificiale, dimostra quanto urgente sia intervenire per disciplinare un ambito di ricerca che sta al confine tra psicologia, scienze cognitive, neuroscienze, e intelligenza artificiale.

In conclusione sarebbe auspicabile che l’ampio e appassionante perimetro argomentativo affrontato da questa pubblicazione divenisse la base di riferimento per la messa in campo di un progetto politico di ampio respiro finalizzato a una governance responsabile ed eticamente orientata dell’innovazione su scala globale.

Ha probabilmente ragione Guido Scorza, tra i massimi esperti di diritto dell’informatica e delle nuove tecnologie che su queste colonne ci ha già messo in guardia: “in un contesto in cui il pensiero diventa accessibile a prescindere da ogni sua manifestazione, divenendo potenzialmente hackerabile, anche i nostri sistemi giuridici andranno “aumentati” per renderli capaci di governare fenomeni che si arricchiranno di nuove dimensioni. L’habeas mentem è in questa dinamica la nuova dimensione del diritto all’autodeterminazione dell’individuo, che va garantita e protetta contro ogni tentativo di limitazione e compressione”.

Come si vede siamo appena all’inizio, il lavoro di comprensione della rivoluzione tecnologica in atto richiederà ancora molto tempo oltre all’impegno delle migliori intelligenze che si muovono nel Pianeta.

 

Autore: Massimiliano Cannata

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