Privacy, libertà e neurodiritti nell’information society

“Privacy e neurodiritti: La persona al tempo delle neuroscienze”. Il tema della giornata europea della protezione dei dati personali ha aperto il sipario sulla sfera che possiamo considerare più avanzata della ricerca giuridica ed epistemologica.

La “nostra vita si fa dati, prima di farsi storia”, fin dal primo vagito siamo registrati da un codice, da quel momento scatta un controllo silenzioso, che sulla spinta della rivoluzione digitale, si è fatto sempre più invasivo. “Sono passati quarant’anni – ha ricordato il giurista Pasquale Stanzione, Presidente dell’Autorità Garante dei dati personali – dalla Convenzione di Strasburgo, primo passo di una consapevolezza che attraverso le tappe importanti del GDPR e della definizione del Codice della Privacy hanno portato l’Europa alla definizione del Digital Service Act”. Abbiamo chiesto a Boris La Corte, Presidente dell’Associazione “Articolo 80, libertà e diritti nella vita digitale”, Privacy specialist di SNFIA (il Sindacato delle Alte Professionalità del Settore Assicurativo) di gettare lo sguardo sulla nuova generazione dei diritti che stanno segnando lo sviluppo del digitale.

Dott. La Corte la nostra vita è tracciata dai dati. Quali sono le tipologie di rischio connaturate all’espansione dell’information society?

Una buona parte dei reati in rete è una versione evoluta di fattispecie criminose già presenti nella realtà. Un esempio per tutti: il furto d’identità non è certo nato con Internet.

Resto del parere che il peggior rischio, che riguarda tutte le fasce di età di utenti, sia quello dell’immaturità e dell’incoscienza. Nella moderna, collettiva, sbornia sui servizi dichiarati “gratuiti” si è perso il senso della prudenza e dell’attenzione.

Se vogliamo vivere liberi, rispetto alla schiavitù del condizionamento, dobbiamo rafforzare le nostre conoscenze, che sono l’unico antidoto efficace che potrà proteggerci rispetto alle trame oscure di un “marketing inquinante”.

Il video curato dall’Authority e diffuso su tutti i canali di comunicazione ha un titolo che suona come un alert: “i tuoi dati sono un tesoro”. Non pensa che questo tesoro sia troppo esposto agli assalti del cyber crimine?

Molti comportamenti collettivi dimostrano una pericolosa superficialità, a cominciare dal diffuso desiderio di aderire ai servizi di posta elettronica gratuita. Registrare il proprio dominio, che può ospitare più indirizzi di posta costa meno di dieci euro l’anno. Questo “domicilio informatico” dovrebbe essere tenuto al riparo dalle multinazionali, che vogliono leggere e conservare la nostra corrispondenza, che contiene spesso informazioni sensibili. Abbiamo idea di quante ricette o prescrizioni mediche, vengono quotidianamente condivise fra medici e pazienti, attraverso i servizi di posta elettronica “gratuiti”? Stesso ragionamento vale per il cloud. Come è noto “la nuvola” conserva materiale personale e professionale, conservati in un hard disk esterno. Insomma, chiedersi perché aziende quali Microsoft e Google prevedano il salvataggio di default dei nostri documenti nel loro cloud chiamato “One Drive” non sarebbe sbagliato, al fine di alzare la soglia dell’attenzione. Se si considerano i costi che vengono affrontati dagli operatori per la gestione di questa gigantesca mole di dati, ci si rende conto del vantaggio competitivo che acquisiscono questi player per studiare, spiare e misurare tutti i nostri spazi di vita, e per affinare l’apprendimento automatico delle loro macchine (il c.d. machine learning) che di fatto sfrutta il vissuto degli utenti.

 

Una nuova età dei diritti

In occasione della giornata europea della privacy, ascoltando il parere degli esperti intervenuti non ha nascosto un certo turbamento. Cosa la preoccupa in modo particolare?

Lo sviluppo, eclatante e potenzialmente ancora da scoprire, della moderna tecnologia digitale, si rivolge ad ambiti che sono sicuramente idonei a migliorare la vita degli esseri umani e questo aspetto è sicuramente confortante. Ma chi governa l’evoluzione della società tecnologica? Chi decide la platea che può avere accesso a determinate conoscenze, privilegi, benefìci e chi no? Nel mondo Occidentale siamo abituati a riconoscere legittimità ai Governi degli Stati in quanto espressione, più o meno diretta, della volontà popolare. Abbiamo studiato gli insegnamenti di Montesquieu e la teorizzazione del principio per cui “potere limita potere”. La questione di cui parliamo non si risolve nell’ambito di un bilanciamento e di un equilibrio fra poteri dello Stato, perché sono in campo delle diverse “potenze”, che sono aziende private, che hanno un DNA sovranazionale, che sfugge ad ogni controllo democratico degli stati nazionali. Consideriamo qualche numero per avere la dimensione del problema. Aziende come Amazon hanno un fatturato superiore di otto volte al PIL del Lussemburgo. È evidente che queste realtà hanno un enorme potere di condizionamento sulle scelte della politica. Un social medium qual è Facebook batte moneta (Lybra), attività che ha da sempre definito la sovranità degli stati nazionali; mentre soggetti privati, come Elon Musk, conducono attività di ricerca spaziale, un tempo esclusivo appannaggio delle Agenzie governative.

Occorre anche dire che i player dell’hi –tech ci sono venuti in aiuto in questa fase emergenziale…

Nessuno vuole negarlo. La Pandemia ha visto l’Unione europea “genoflettersi” di fronte ai Giganti della ricerca farmaceutica, gli unici che possono “liberarci dal male” e salvarci dal virus. Tanti hanno ritrovato i propri parenti, durante il primo lockdown, grazie alle videochiamate di Whatsapp, il lavoro a distanza è stato garantito da Microsoft Skype e la didattica dei nostri figli da Google Classroom. Sono aspetti positivi, che devono anche generare una riflessione sulla concentrazione di competenze tecnologiche e strumenti economici di cui dispongono queste aziende che indirizzeranno il futuro del pianeta, senza un efficace bilanciamento dei poteri.

La triplice scansione habeas corpus, habeas data, habeas mentem su cui ha insistito Pasquale Stanzione come va spiegata alla luce dell’evoluzione giuridica e culturale che ha segnato la storia dell’Occidente?

Il Regolamento Europeo sulla protezione dei dati fa costante riferimento ai diritti ed alle libertà delle persone. Noi siamo i dati che ci rappresentano. Esiste un legame indissolubile fra garanzie a tutela dell’individuo e limitazioni dei poteri assoluti. Ogni attività potenzialmente idonea a compromettere i diritti fondamentali della persona, deve essere valutata da soggetti terzi, indipendenti e che si muovono secondo un preciso dettato legislativo. Nella nostra quotidianità possiamo ritenere sufficientemente consolidato questo rapporto, che si identifica nella dinamica dei rapporti fra cittadino e Stato. Questo ci fa capire il motivo per cui nessuna limitazione fisica della libertà delle persone può essere sottoposta all’iniziativa di una componente singola, ma viene valutata e accuratamente soppesata da una serie di strutture indipendenti.

Il rischio di un “hackeraggio” del cervello emerso nel corso del dibattito è “fantascienza” o piuttosto un temibile dato di realtà?

“Non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è giuridicamente lecito o eticamente ammissibile”. Questa frase, utilizzata dal Presidente dell’Authority sintetizza il problema. La fattibilità tecnica è un muro sempre più scalabile. Ritorna il tema della titolarità del potere di governo dello sviluppo tecnologico, cui si sovrappone l’enorme fatica che i legislatori nazionali ed europei devono esercitare per tenere il passo dell’innovazione. Quando il diritto “arranca”, il giudice non ha strumenti di sanzione, arriverà sempre in costante ritardo. Ma è sull’ammissibilità etica che il discorso diventa più complesso.

Antigone o Creonte

Intende dire che ritorna il dilemma tra “Antigone” e “Creonte”, tra la legge non scritta e il diritto codificato?

Intendo dire che l’ammissibilità ha una radice soggettiva, non può essere scritta, né fissata. Il cervello umano si sa che è un insieme di impulsi e reazioni che possono essere sottoposti a controllo. Pensare che un microchip possa aiutare i malati di patologie quali Alzheimer o Parkinson è entusiasmante ma come non rimanere sbigottiti nel sentire che lo stesso microchip può conservare i nostri ricordi?

Quello scenario definito “proliferazione extra clinica dell’interfaccia cervellocomputer”, deve portarci ad alzare lo sguardo sui rischi di un’utilizzazione che travalicando lo stretto ambito medico-terapeutico apre scenari inquietanti, come inquietanti le notizie che arrivano dal mondo militare, dove la stretta simbiosi di biochimica e microtecnologia mira ad ottenere l’eliminazione della sensazione di fatica, dello stress, della paura, del sonno con il preciso orribile obiettivo di migliorare fino alle estreme conseguenze la performance dei soldati.

Tali pratiche potrebbero essere sperimentate anche su uomini che detengono il potere, con conseguenze inimmaginabili sul piano delle scelte strategiche. L’attività di lettura del cervello (“brain reading” n.d.r) si presta a interventi di “brain writing” che possono arrivare a condizionare il nostro cervello, riscrivendo opinioni, gusti, sentimenti e comportamenti consequenziali. Inutile sottolineare la gravità e la delicatezza del quadro che si sta delineando.

I fatti dell’attualità che hanno avuto esito tragico, vedi l’ultimo caso di Tik Tok, impongono nuove misure di monitoraggio e controllo inerenti l’uso dei media da parte soprattutto dei minori. Che idea ti sei fatto in merito?

Il mondo dei social media costituisce per i minori uno spazio di evasione rispetto ai limiti di autorità, controllo e repressione rappresentati dalla famiglia e dalla scuola che non può essere negato. Detto in altri termini: i profili on line, dei ragazzi, sono spazi “personali pubblici” a disposizione del mondo, purché sottratti alla famiglia che, soprattutto nel periodo adolescenziale viene notoriamente vista come luogo coartazione e di soffocamento. Pensare ad un uso congiunto e mediato dalla presenza parentale è a mio giudizio un controsenso. Questo non vuol dire che non rimane centrale il tema dell’awareness e della formazione all’uso responsabile dei social media. In sintesi: lascerei ai giovani la gestione del mondo on line, a condizione che la “presenza silenziosa, discreta e vigile” dei genitori non manchi mai di accompagnare la loro “navigazione” nel mare aperto del web.

Autore: Massimiliano Cannata

https://www.cybertrends.it/boris-la-corte/

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