Italiadecide – Rapporto 2023

La scuola nel tempo mutante della società tecnologica

Viviamo nella società della conoscenza. Se fosse vero la scuola dovrebbe godere di una centralità di fatto negata dalla scarsa attenzione dei decisori pubblici, evidente nell’attuazione reiterata della politica dei “tagli”. I sistemi educativi si trovano infatti nella tenaglia di una duplice crisi. La prima, concernente le tecnologie della comunicazione, è indotta dalla rivoluzione digitale che sta trasformando repentinamente i modi di produzione, accumulazione, trasmissione e circolazione della conoscenza e dei saperi; la seconda riguarda i modelli culturali e valoriali della civiltà occidentale, così come si è sviluppata in Europa e si è diffusa nel mondo, che conduce alla confluenza di molteplici transizioni: il declino, lento ma inevitabile, del patriarcato; il declino dell’età dei combustibili fossili; il progressivo “mutamento di paradigma” che ha plasmato per secoli la nostra moderna civiltà, leggibile nel passaggio da un pensiero analitico, semplificante e tecnocratico a un pensiero sistemico, complesso ed ecologico.

Questa la tesi di fondo, argomentata dall’epistemologo Mauro Ceruti, che attraversa il Rapporto Italiadecide su “Educazione e formazione nelle democrazie del XXI secolo”. Molto vasto l’orizzonte preso in esame dagli studiosi: la nuova alleanza tra linguaggi naturali e artificiali, l’educazione alla sostenibilità, la comunicazione e applicazione di saperi spendibili in un universo del lavoro in mutazione. Stiamo vivendo una crisi cognitiva che concerne il rapporto che l’uomo intrattiene con sé stesso e con la realtà. “Un pensiero in crisi – spiega il filosofo – che oggi appare impotente di fronte a un mondo in crisi. Affrontare una riforma del pensiero come quella che serve per uscire dal tunnel della crisi impone una riforma dell’educazione, che vede al centro proprio la scuola e l’Università”.

La complessità di un mondo caratterizzato da un aumento inedito e simultaneo di interdipendenza e di potenza tecnologica crea, infatti, condizioni favorevoli per adottare strategie audaci e innovative quelle pratiche e politiche educative, che presiedono alla trasmissione della conoscenza, che tanto fragili ci sono apparse nel periodo della pandemia e nel corso delle tante emergenze che ci siamo trovati a fronteggiare. Per reggere l’impatto di un mondo in trasformazione bisogna intendere “l’innovazione pedagogica” da introdurre e costruire nei prossimi anni in un senso ampio e globale, non riducibile né all’applicazione del digitale in ambito didattico, né alla ricerca di empatia e risonanze emotive nella relazione docente-allievo, pure necessarie. Bisognerà tenere conto che l’innovazione è un processo che dovrà passare attraverso una riforma dei contenuti e attraverso l’assimilazione di un paradigma culturale imperniato su un nuovo umanesimo, commisurato alla inedita condizione umana globale del nostro tempo, che ribadisco è un tempo della complessità, in cui tutto è connesso. Servirebbero investimenti mirati per rafforzare la qualità, l’innovazione, l’efficacia dell’esperienza formativa che sono leve decisive per la riduzione delle dicotomie territoriali, la diseguaglianza e la dispersione scolastica.

Quest’ultimo fenomeno in Italia tocca livelli tra i più alti d’Europa eppure continuiamo a trattarlo, denuncia Santa Parrello in “Maestri di strada di Napoli: l’esperienza educativa contro il rischio della dispersione” come se si trattasse di una pratica burocratica da espletare. A queste condizioni risulterà impossibile togliere manovalanza alla criminalità, facendo innalzare quel capitale sociale che è la vera ricchezza di ogni nazione. “Stanno venendo meno i canoni fondamentali dello scrivere, leggere, subiamo una sorta di ipernozionismo da utenti di Google – l’analisi del filosofo Salvatore Natoli – che consegna ai giovani un sapere labile, senza fondamenti, che esula dalla argomentazione razionale, con il risultato che il paese è destinato a un irreversibile declino”. Sono passati cento anni dalla riforma Gentile, e stiamo ancora annaspando nel labirinto di riforme incompiute. Dal passaggio fondamentale alla scuola media unificata, datato 1962-63, alla svolta disegnata da Luigi Berlinguer che ha introdotto il principio dell’autonomia, auspicando un bilanciamento necessario tra responsabilità decisionale e capacità progettuale non sempre messe in campo dai singoli istituti, il “cantiere educativo” è rimasto aperto.

Aggiornare lo statuto delle discipline sempre più interconnesse, governare la crescita di classi multietniche che impongono una questione della lingua, riequilibrare il rapporto tra l’istruzione classica e gli istituti tecnici, decisivi nell’intercettare la domanda delle imprese, le tante questioni irrisolte non devono però far pensare che le aule siano cristallizzate nell’immobilismo. La recente rivolta del Tasso, storico liceo romano che sta vedendo i genitori rifare “la lotta di classe” al fianco dei figli fa comprendere al corpo collettivo che il “dàimon”, la passione dei greci per il sapere e per una scuola inclusiva non è morta, fa sentire il suo dissenso, richiedendo risposte immediate, ineludibili.

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