FUTURES LITERACY: CONOSCENZE E TECNOLOGIE ECCO IL BINOMIO DEL FUTURO.

Intervista VIP con Franco Amicucci

Viviamo nell’ ”infosfera” una dimensione, per usare una definizione di Luciano Floridi in cui tutti siamo immersi. On life è uno stato, una condizione ibrida che ci vede perennemente connessi. Cambia il modo di essere nel mondo per dirla con Heidegger, ma anche e soprattutto il modo di apprendere. Dott. Amicucci, lei ha una grande esperienza sul terreno della docenza e della formazione, come ci si deve orientare in questa società complessa e altamente tecnologizzata?

Il tema del sapersi orientare coinvolge ogni persona e ogni organizzazione, perché viviamo un’epoca caratterizzata da continue ondate di cambiamento che ci proiettano, di volta in volta, in territori nuovi ed inediti per l’esperienza umana. Territori nuovi che necessitano nuovi alfabeti, nuove chiavi di lettura ed interpretazione, un apprendimento continuo, come ci sta richiedendo, ad esempio, l’onda della rivoluzione digitale. Orientarsi, quando si è pienamente immersi nelle trasformazioni in atto, non è facile. Abbiamo bisogno di aver chiaro il proprio posizionamento e possedere un sistema con alcuni punti di riferimento. Non siamo più quelli che eravamo, i cittadini dell’epoca industriale, e non abbiamo ancora acquisito una chiara identità di cittadini dell’infosfera, che sanno muoversi agilmente nella dimensione ibrida fisica e digitale.

Tra il non essere più e il non essere ancora, dove ci collochiamo dunque?

In una terra di mezzo, tipica dell’adolescenza, oscilliamo tra entusiasmi, quando scopriamo l’apparente onnipotenza della rete, e la paura di non farcela, di non essere all’altezza del nuovo mondo. Edgar Morin, uno dei giganti del pensiero contemporaneo, ci è venuto in aiuto con la metafora dell’arcipelago, il nuovo vissuto dei moderni navigatori della conoscenza, che non hanno più la certezza della terra ferma, ma possono fare riferimento a tante isole di certezza, quelle che troviamo durante la navigazione a mare aperto. Tra le isole di certezza utili oggi alle persone e alle organizzazioni, mi piace mettere il tema delle nuove competenze necessarie per vivere nella società digitale, come la competenza dell’apprendere per tutto l’arco della vita, la cultura e la competenza digitale, il pensiero critico, l’adattabilità e la flessibilità cognitiva. Queste sono solo alcune delle competenze che scuole e aziende dovranno mettere al centro dei programmi.

La pandemia, scrive nel suo interessante saggio “Apprendere nell’infosfera” (ed. Franco Angeli) ha accelerato molti processi. Cosa ci ha insegnato questa esperienza e quali sono le sfide che le imprese devono affrontare nell’era post covid?

La pandemia ha accelerato tutti i processi di innovazione che erano già in atto ed ora abbiamo una consapevolezza collettiva su alcuni di questi, come lo smart working e le nuove forme di apprendimento in modalità digitale. Per le imprese le sfide sono molte ed il rischio che sta emergendo è quello di vivere le nuove sfide in modo difensivo con la cultura del “c’è un cambiamento che ci coinvolge, vediamo come affrontarlo per ridurne i danni e sopravvivere”. Questa è la cultura di chi vive il cambiamento come un incidente di percorso, che passerà per poi ritornare alle abitudini consolidate, atteggiamento che alcune organizzazioni stanno assumendo per lo smart working e la didattica digitale. La maggior parte delle organizzazioni, per fortuna, sta cogliendo gli impulsi di innovazione vissuti per pensare al futuro, ai nuovi modelli organizzativi che dovranno essere sempre più agili, dimostrando di possedere un DNA aperto e flessibile, capace di assorbire il continuo divenire che segna la contemporaneità.

Come apprendere nell’infosfera

Sta mutando il lavoro e soprattutto le competenze aziendali. Quale mission dovrà avere la formazione manageriale e di quali strumenti dovrà dotarsi per rafforzare l’efficacia dei messaggi educativi e la stessa qualità dei contenuti?

L’Unesco indica come prioritaria una nuova competenza, definita futures literacy, che richiama ogni ruolo di responsabilità ad operare per un futuro sostenibile per le organizzazioni e la società ed essere protagonisti attivi dei cambiamenti costanti, veloci ed esponenziali che ci circondano. Per questo è fondamentale riuscire a comprendere come sarà il futuro che ci aspetta e quale potrà essere il ruolo da giocare in esso Per ogni manager la futures literacy consiste nella capacità di saper combinare le conoscenze e le tecnologie che ci aiutano a comprendere il presente e a indirizzare ogni scelta, alimentati da immaginazione “e visioning”, che deve essere orientata ad adattare, attrezzare, potenziare le organizzazioni alla sfide del futuro. Utilizzare il futuro per innovare il presente, sfruttare al meglio le infinite possibilità della nostra epoca, che è la più ricca della storia non scordiamocelo, per opportunità di apprendimento. La formazione manageriale, in questo scenario evolutivo, è quella che più di ogni altra, ha le potenzialità di cavalcare le opportunità di apprendimento presenti nell’infosfera, grazie alla possibilità di praticare un apprendimento prevalentemente esperienziale, continuo, tra formale e non formale.

La tecnologia rende ancora più impegnativo il compito della formazione manageriale?

L’apprendimento manageriale si sta basando sempre più sulla capacità di elaborare dati, costruire reti di relazioni arricchenti, riflettere sui trend e gli scenari evolutivi, fare benchmark sulle migliori pratiche organizzative e manageriali presenti a livello nazionale e internazionale. A fronte di questo scenario credo che l’innovazione più importante sarà quella di acquisire, da parte del management di ogni organizzazione, un diverso learning mindset, che comporta la consapevolezza che l’apprendimento continuo e pervasivo è uno dei fattori strategici per il successo della propria organizzazione. Il primo formatore è il manager stesso, che forma con il suo stile di leadership, la sua comunicazione, la sua modalità di coinvolgimento ogni presa di decisione.

Il tempo, diceva Sant’Agostino, se non mi chiedono cosa sia conosco la definizione, se mi chiedono che cosa è rimango spiazzato. Lei parla di modalità sincrona e asincrona riferendosi all’apprendimento in modalità virtuale. Può spiegare di che si tratta?

Per modalità sincrona intendiamo la classica modalità d’aula, dove docente e allievo sono in relazione nello stesso momento. Quella che comunemente viene chiamata Dad, Didattica a Distanza erogata con la modalità del webinar, attraverso piattaforme ormai comuni nel linguaggio delle aziende e delle scuole, come Teams, Webex, GoogleMeet e altre è sempre una modalità sincrona, un’aula a distanza, con docente ed allievi distanziati fisicamente. La modalità asincrona è invece lo studio di corsi online in autonomia, senza la presenza del docente, con lo studente o lavoratore che si collega, quando ne ha la possibilità, durante l’orario di lavoro o fuori orario, a un sito web speciale, chiamato piattaforma e-Learning o LMS – Learning Management System e accede con username e password personale. La piattaforma terrà traccia del suo studio, degli orari di fruizione, dei test superati quando previsti, come un vero e proprio registro digitale.

Ma il concetto di tempo ci richiama ad un altro cambiamento in atto, molto importante. Quale, può essere più esplicito? Nella nostra epoca l’apprendimento non è più un processo lineare, cumulativo, misurato in anno di studio e ore di formazione, che potremmo identificare come una forma di “Chrónos formativo”, ma sta evolvendo verso un processo basato su rotture e salti di paradigmi, dove il saper disapprendere, creare dei vuoti, è sempre più necessario per acquisire rapidamente nuove abilità, culture, modelli di riferimento, che in questo caso potremmo definire come il “Kairós dell’apprendimento”, dove la persona apprende dalle esperienze più significative che possono essere anche attimi che aprono nuove finestre sul mondo, da successi ed errori, dalla capacità di fare domande alla sua rete di relazioni, alla grande biblioteca ipertesto che è il web e di saper filtrare, riorganizzare, dare valore alla conoscenza per poi rimetterla in circolazione.

La rivoluzione intelligente

Lo Smart working è in questo momento al centro di molte attenzioni e di molte polemiche. A questa modalità si affianca lo Smart e-learning, può dirci qualche cosa in più in proposito?

La pandemia ha fatto esplodere lo smart working per tutta quella parte del mondo del lavoro svincolata dai processi operativi che richiedono presenza, che in Italia, secondo di dati del World Economic Forum, rappresenta circa il 38% della popolazione lavorativa. Ricordiamoci sempre che la maggioranza dei lavoratori non ha avuto questa possibilità. Il dibattito attuale è tra chi considera lo smart working come una pratica emergenziale, per poi tornare a lavorare come prima e tra chi la considera come nuova modalità che trasformerà per sempre le relazioni e la cultura del lavoro. Personalmente propendo su questa seconda posizione. Va poi detto che insieme allo smart working le organizzazioni hanno visto l’accelerazione della digitalizzazione dei processi lavorativi, come digital tool e i sistemi di video conferencing, insieme ad una forte accelerazione della modalità di apprendimento in ambienti virtuali, che possiamo definire in smart learning. Durante il periodo di utilizzo massivo della smart working, le stesse persone hanno sperimentato nuove modalità di apprendimento, che erano già familiari per le aziende ad alta intensità di lavoro intellettuale, mentre altri settori erano molto lontani da questo orizzonte, per motivi facilmente comprensibili.

Adesso l’onda prevalente porta alla “restaurazione”. Dopo l’emergenza torneremo in ufficio riportando indietro le lancette della storia?

Sono emersi tanti problemi in questa fase, inutile negarlo. Per un paese come l’Italia, invecchiato e a bassa cultura digitale, il tema delle infrastrutture e delle competenze digitali sono importanti e decisive per il futuro del lavoro, perché, tra le principali criticità che hanno ostacolato e ostacolano il pieno utilizzo dello smart working, la carenza di cultura e competenze digitali e di infrastrutture tecnologiche adeguate sono risultate evidenti e da superare rapidamente. Ma sono emersi anche tanti vantaggi, come quelli di un maggior equilibrio vita familiare e lavoro, flessibilità, maggior autonomia, minori costi in tempo e costi di trasporto. La preoccupazione per la perdita di socialità è comune alle persone e alle imprese ed è questo uno dei punti di maggior attenzione in questa fase. Forti delle lezioni apprese e delle competenze acquisite, si stanno introducendo nuove pratiche organizzative e percorsi formativi finalizzati al mantenimento della socialità, al miglior uso del tempo e della programmazione del lavoro che permettano al tempo stesso il diritto alla disconnessione delle persone per un miglior equilibrio vita lavorativa e vita privata oltre a una migliore produttività. Infine, appare urgente non solo dalla prospettiva delle aziende, una nuova attenzione al benessere psicologico e alla resilienza delle persone per attraversare questo periodo, che si prospetta lungo e difficile.

Intelligenza artificiale, big data, blockchain che impatto hanno sull’apprendimento?

Siamo solo agli inizi, ma già si intravede, dalle prime esperienze in atto, un nuovo mondo che presto sarà familiare. Quando navighiamo in internet o facciamo ricerca su Google, le nostre attività vengono tracciate, veniamo profilati in forme sempre più raffinate, i nostri dati vanno ad alimentare un enorme mole di dati e così riceviamo pubblicità, comunicazioni, notizie sulla base dei nostri interessi e gusti. Dietro questi processi c’è il mondo dell’intelligenza artificiale, il mondo dei big data. Proviamo ora ad immaginare di utilizzare questi ambienti, ormai familiari, per l’apprendimento sfruttando a nostro vantaggio quello che ora viviamo in negativo, come invasione della nostra privacy e condizionamento occulto. Ma, come tutte le energie, la responsabilità delle conseguenze non è dell’energia, ma dall’uso che se ne fa. Immaginiamoci allora di offrire a ogni bambino, a ogni giovane, ad ogni lavoratore, una formazione sempre più personalizzata, che segua i suoi interessi, i suoi gusti, le sue attitudini, quando serve, dove serve e che questa modalità lo accompagni per tutta la vita, dove al posto della pubblicità, la persona riceverà consigli, informazioni, messa in contatto con il miglior esperto della sua squadra, del mentor più adatto per i suoi bisogni, suggerimenti di community con interessi comuni, guide e tutorial a disposizione ogni volta che si affronta un nuovo problema o un nuovo lavoro. Poi, man mano che la persona acquisisce competenze, nuove abilità, nuove conoscenze, queste verranno riconosciute, certificate e validate in blochchain. Si tratta di “pesare” una diversa moneta, la moneta intellettuale che rappresenterà il bene più prezioso per la persona, non svalutabile!

La “frontiera mobile” della sicurezza informatica

La nostra rivista è focalizzata sulla cyber security. La formazione di questo delicato ambito quali linguaggi e strumenti deve utilizzare per essere al passo con i tempi di una trasformazione scientifica e tecnologica rapida e per molti versi sconvolgente?

La formazione sulla cyber security, come tutti i saperi che richiedono non solo la conoscenza, ma anche l’attivazione di comportamenti coerenti, generalizzati nell’insieme dell’organizzazione, richiede un apprendimento profondo, una memoria corporea che porti a comportamenti automatici, che garantiscano la sicurezza del comportamento in ogni condizione psicofisica e ambientale. Per arrivare a questo non sono sufficienti i classici corsi in aula o in e-learning, ma bisogna attraversare e riattraversare il dominio disciplinare della cyber security con una molteplicità di linguaggi, attività, prove, esperienze, ripetizioni, test per arrivare all’acquisizione di saperi che garantiscano comportamenti con elevati standard di sicurezza. È inoltre fondamentale la continuità degli apprendimenti nel tempo, non basta aver superato dei test una volta, ma la formazione con queste modalità che si definiscono “immersive” deve essere ricorrente.

Una parte del suo saggio è dedicata a un territorio di applicazione poco noto, il micro-learning. Di che cosa si tratta?

Quando su YouTube ricerchiamo una nuova ricetta o informazioni su un paese che vogliamo visitare e consultiamo il tutorial di 5 minuti, stiamo utilizzando un oggetto di apprendimento in micro-learning, un trend che si impone sempre di più sulla scena dell’apprendimento. Possiamo definirlo come una metodologia che fa riferimento a un processo di granularizzazione dell’apprendimento per mettere a disposizione unità di contenuto piccole e autoconsistenti, componibili in percorsi personalizzati. Dal punto di vista didattico è più facile apprendere un contenuto breve alla volta, che tanti contenuti erogati di seguito, come avviene nella classica giornata formativa di 8 ore in aula. Nell’infosfera il micro-learning emerge come uno dei linguaggi emergenti, una modalità che va di pari passo con l’affermarsi delle APP di apprendimento e dello smartphone come strumento utilizzato sempre più anche nella formazione. Ad esempio, la nuova generazione che ora sta gestendo Skilla, la società che fondai nel 2000, ha creato una APP, Digital Journey, per formare le competenze digitali delle persone delle grandi organizzazioni, compresa la competenze della cyber security, basata sul micro-learning, con un impegno richiesto di 3 – 4 minuti al giorno di formazione, tutti i giorni dell’anno. Stiamo parlando di “App” che si avvalgono di sistemi di intelligenza artificiale per formare con un’alta personalizzazione del percorso formativo processi di gamification e partecipazione delle persone nel creare esperienze sempre più coinvolgenti.

La sua ricerca si conclude aprendo il sipario sulle “sfide aperte”. Può tratteggiarne qualcuna anche ai nostri lettori?

Per la scrittura del libro ho coinvolto e intervistato quattordici persone, provenienti da mondi diversi, manager d’azienda, imprenditori, studenti, startupper, insegnanti, agricoltori, un monaco benedettino, per farmi raccontare come si aggiornano nella quotidianità, quali mondi stanno scoprendo e quali difficoltà incontrano. Da questi racconti emerge che stiamo vivendo, nell’infosfera, tante nuove opportunità e tante nuove problematiche, tensioni da vivere, se ben gestite, come generative. Ad esempio, è comune oscillare tra entusiasmo e preoccupazione, dove da una parte abbiamo l’entusiasmo quasi adolescenziale per le tante esperienze possibili, dall’altra la preoccupazione di non farcela, di essere emarginati se si rimane indietro con l’aggiornamento. Un’altra sfida è quella data dal rischio di chiudersi in cerchie chiuse, omogenee, rassicuranti, ma tendenti all’isolamento, spesso vicine alla cultura delle sette. Una tensione comune è data dalla connessione continua, che apre il tema della ricerca di un nuovo stile di comportamento, che sappia mettere in equilibrio vita lavorativa e vita privata, connessione e distacco. La tensione tra fiducia e controllo è presente in ogni ambito dell’esistenza, e va ben gestita anche nei due mondi di cui abbiamo parlato, quello dello smart working e quello dell’auto-apprendimento in smart learning, perché se si lavora senza la presenza del capo e si studia senza la presenza dell’insegnante, nuovi valori dovranno regolare i rapporti. La fiducia è uno di questi. Credo, infine che dobbiamo dare un senso a queste sfide e per questo ho concluso il testo con una frase che si trova all’ingresso di una scuola in un villaggio sperduto della Nigeria: “il sapere è, e deve essere visto, come una forma di felicità. Una delle poche felicità a cui può aspirare il genere umano”.

Autore: Massimiliano Cannata

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