PER “ABITARE” IL TEMPO COMPLESSO, BISOGNA ANDARE “OLTRE”…

Intervista VIP a Andrea Granelli e Nicola Spagnuolo.

Nell’interessante saggio Oltre la formazione (ed. Harvard Business Review e CFMT,) vengono tracciate le coordinate dei nuovi orizzonti del sapere nella società digitale.

Complessità e tecnologia sono due termini chiave nel nuovo paradigma che domina la società e i cicli produttivi. Quale spazio deve occupare la formazione nella dinamica dei cambiamenti in atto?

Più il mondo cambia, più risulta fondamentale che la formazione aiuti le persone, soprattutto i manager, i leader, che hanno la responsabilità di guidare “la macchina” a capire il contesto e a muoversi di conseguenza. Quando il cambiamento si intreccia, in particolare, con livelli di complessità crescenti in un universo sempre più connotato dalla tecnologia, il know-how diventa un asset cruciale.

Traducibile, memorabile, transdisciplinare, il sottotitolo del libro apre un universo di concetti. Possiamo soffermarci su questi aggettivi circoscrivendone il senso?

Comincerei dal primo termine: “traducibile”. La formazione è sempre universale, è sempre erga omnes; si rivolge a una collettività, a un gruppo di persone. Poi ciascuna delle persone che partecipa deve tradurre il tema generale nel contesto particolare e operativo entro cui si muove. Questa attività di traduzione è molto importante, molto delicata; non possiamo lasciarla solo al discente, che faccia da solo. Il ruolo, per esempio, della mentorship che viene fatta a valle di un percorso formativo è proprio questo: aiutare la persona a tradurre, adattare i contenuti generali universali al suo contesto particolare. Ricordiamoci – come ci dice l’etimologia della parola – che “tradurre”, che è molto vicino a tradire. Non a caso gli editori dicono: traduttore e traditore. Ogni volta che traduciamo, rischiamo sempre di tradire il contenuto che stiamo traducendo. Per questa ragione bisogna che ci sia un’adeguata assistenza per svolgere questa delicata attività.

Memoria e futuro

Con il termine “memorabile”, entra in gioco il tempo, la memoria: una sfida anche questa non facile da affrontare. Cosa pensate al riguardo?

La memorabilità si realizza se quello che impariamo rimane tale, se ce lo ricordiamo. Sapere è ricordare, come sosteneva Platone. Ricordare vuol dire, in particolare, accedere a dei contenuti che abbiamo acquisito, adattandoli al nuovo contesto, La parola “memorabile” in italiano è molto potente: richiama una dimensione epica e implica un giudizio di qualità su fatti ed eventi degni di essere richiamati alla mente. L’espressione spagnola “memorioso”, spesso usata da Papa Francesco, fa riflettere: significa che qualcosa deve essere ricordato, rendendo molto bene l’idea che vogliamo rappresentare.

E sulla parola “transdisciplinare”, cosa possiamo dire?

Che non basta più avere competenze singole: servono competenze articolate, costruite attraverso molte discipline. La complessità richiede interdisciplinarità. Pensiamo ai gesuiti, che hanno fanno scuola in termini di metodo, sperimentando una ratio studiorum, elaborata alla fine del Cinquecento e costantemente aggiornata, adattandola alle sollecitazioni dell’era digitale in cui tutti viviamo immersi.

Viviamo, per usare un termine caro a Edgar Morin, nel tempo delle “policrisi”. La più grave di tutte è la “crisi cognitiva”, che concerne – scrive Mauro Ceruti – “proprio la difficoltà di pensare la complessità”. La formazione può aiutare il sistema a superare i tanti gap conoscitivi che frenano la competitività delle nostre imprese?

Potenziare il pensiero è un compito della formazione. La capacità di ragionare, la retorica, l’arte di argomentare, di negoziare, il pensiero critico: è questo il volto più grave delle “policrisi” cui si riferiscono i pensatori citati prima. Il rischio è alto, soprattutto se consideriamo la potente diffusione dell’IA, che potrebbe determinare un depotenziamento cognitivo. Spesso ci fidiamo di quello che dice un sistema che consideriamo esperto, non preoccupandoci nemmeno di verificare le fonti. Bisogna cambiare passo, tornando ad esercitare la lettura, rispolverando i classici e i grandi autori, che tanto hanno da insegnarci.

La tavola pitagorica dei processi cognitivi

L’evoluzione digitale sta modificando la “tavola pitagorica” dei processi cognitivi, mentre è in atto una rivoluzione epistemologica profonda. Nel saggio si avverte la spinta ad andare “oltre”. Cosa vuol dire, in concreto?

Andare oltre l’apprendimento vuol dire capire che c’è qualcosa da osservare con un ragionamento di ampio respiro, rispetto al quale l’apprendimento è solo un tassello di un processo che va potenziato per scandire lo sviluppo della personalità e la maturazione del singolo. Bisogna superare – andare oltre – il modo in cui oggi vengono definiti i contenuti e i perimetri dei saperi. Dobbiamo avere il senso dell’irriducibile legame tra le competenze, perché non ci può essere un progresso delle conoscenze nella parcellizzazione e nella frammentazione. Abitare la complessità vuol dire riconoscere i limiti del vecchio paradigma, che tendeva a separare, creando steccati tra professioni e competenze. Oggi abbiamo bisogno di una “nuova paideia”, che ci permetta di guardare la realtà in tutte le sue articolazioni.

In conclusione, vi chiedo: finito il tempo della “sacralità dell’aula” che l’età industriale ha vissuto e anche la nostra generazione che credeva il “proprio banco” quale baricentro di un mondo anche relazionale. Nell’età delle intelligenze generative, quali sono i luoghi della formazione?

Il tema dei luoghi rimane fondamentale, innanzitutto bisogna parlare di luoghi fisici e luoghi virtuali. Ormai il concetto di luogo si è dilatato. L’aula è certamente un luogo ma lo è anche il territorio. Ma pensiamo anche al Genius Loci, al Grand Tour che è stato anch’esso un grande luogo formativo, l’aula in quel caso si poteva identificare nei territori che attraevano turisti d’eccezione. Anche questi “visitatori” eccellenti “andavano oltre” quello che vedevano, perché loro interesse era conoscere, i percorsi erano generatori di creatività. Il caso di Goethe è emblematico: venuto in Italia non voleva più tornare nella sua Germania, nel nostro paese produceva e scriveva meglio. Ecco che l’aula diventa il territorio, la cui storia si articola nel rapporto natura-cultura. In questa dinamica non possiamo non considerare “il Virtuale”, che ha ragione Pierre Levy a considerare una nuova categoria dell’essere. La capacità immaginifica, amplificata dal digitale non è solo uno spazio virtuale, è anche un luogo dove si possono generare opzioni possibili, si possono creare mondi “oltre” il visibile. Quella che va sviluppata è una nuova competenza, che potremmo definire space awareness, che vuol dire reinterpretare continuamente i luoghi che “significano”, tenendo insieme il sensibile e il soprasensibile, l’architettura e la memoria che li fanno essere, sollecitando continui interrogativi al fruitore. Questa è formazione, che segue canoni pedagogici e comunicativi non convenzionali, che dovremo imparare a padroneggiare e ad esercitare per comprendere il cambiamento d’epoca entro cui siamo immersi.

Autore: Massimiliano Cannata

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